Ritorno a scuola tra scioperi e precarietà

«Siamo il Paese in Europa che investe meno nella scuola, in ricerca e università rispetto al prodotto interno lordo (Pil)», afferma Libero Tassella, fondatore del gruppo Docenti e Ata Scuola bene comune. «C'è bisogno - aggiunge - di una vasta opera riformatrice che coinvolga il Parlamento tutto, mettendo la scuola al centro di un piano di investimenti».

Con il suono della campanella, oggi sono ricominciate le lezioni in gran parte delle regioni italiane. Ultima a riaprire le aule sarà la Puglia, dove invece si rientrerà il 18 settembre. Ma il ritorno a scuola non dappertutto è stato dei più sereni: ci sono stati plessi presi di mira dai ladri (a Piacenza, Civitavecchia, Bagnoli, Mileto…), altri – tantissimi – privi di docenti e di personale amministrativo e dirigenti scolastici che devono coordinare anche 5, 6 istituti, con migliaia di studenti da gestire e infinite problematiche.

libero-tassellaCome se non bastasse, sono già stati previsti vari scioperi del personale docente (il 27 settembre), e amministrativo di ruolo e non (il 18 settembre, con manifestazione nazionale davanti palazzo Montecitorio, sede della Camera, a Roma. Lo sciopero fissato per oggi è stato, invece, fortunatamente annullato).

Ma come si è arrivati a questo punto, con la scuola simile ad una polveriera pronta a prendere fuoco? Ne parliamo con Libero Tassella, insegnante, fondatore e amministratore del gruppo di Docenti e Ata Sbc, “Scuola bene comune”, presente anche su Facebook con una propria pagina (@assoscuola).

L’anno scolastico comincia con gli scioperi, segno di un malessere profondo. Da cosa dipende secondo lei?
Da una politica di tagli che è stata attuata scientemente nella scuola da tutti i Governi di centrodestra e di centrosinistra che si sono succeduti in questi anni, soprattutto a partire dalla crisi economica del 2008. La scuola è stata vista dalla politica come una spesa da tagliare, basti pensare alla riforma Gelmini: una riforma, in pratica, che è consistita in un taglio lineare di organico, e alla riforma detta Buona Scuola: una riforma di sistema sostanzialmente ad invarianza di spesa. Siamo il Paese in Europa che investe meno nella scuola, in ricerca e università rispetto al prodotto interno lordo (Pil).

Quali sono i principali problemi da affrontare e di cosa c’è maggiormente bisogno?
Qui mi tocca fare il solito elenco e procedere sinteticamente per capitoli: la risoluzione del precariato docente e Ata, la stabilizzazione degli organici, per evitare la “supplentite” e la precarietà, una revisione della definizione degli organici provinciali con l’unificazione degli organici di diritto e di fatto, una revisione del management scolastico a causa della sua deriva autoritaria, la revisione della gestione aziendalista introdotta nelle scuole a partire dall’autonomia scolastica e che ha subito un’accelerazione dal 2015 con la legge 107 (la cosiddetta Buona scuola del governo Renzi), l’introduzione del merito intendendo la funzione della scuola come ascensore sociale, inoltre la messa a norma delle scuole, una politica di investimenti nell’edilizia scolastica, sempre annunciata e mai realizzata, un’attenzione particolare alla scuola del Sud con la creazione di organici aggiuntivi e la diffusione del tempo prolungato, lo svecchiamento degli insegnanti, che con la media dei 50 anni oggi sono i più vecchi in Europa, e un contratto finalmente di risarcimento che gli insegnanti aspettano da tanti, troppi anni.

Nei giorni scorsi il papa ha lanciato la proposta di un’alleanza educativa. È possibile immaginarla anche nella scuola?
Il problema della scuola e della formazione delle nuove generazioni riguarda tutti, non solo gli attori direttamente coinvolti in essa. Il deficit di formazione che ormai si registra nel Paese è palesemente visibile nel deterioramento del patto sociale che si manifesta in forme di sfrenato individualismo, di violenza, se non di razzismo. C’è bisogno di una vasta opera riformatrice, quindi, che coinvolga il Parlamento tutto, mettendo la scuola al centro di un piano di investimenti. Lo ha detto chiaramente il ministro Fioramonti: se per scuola e ricerca nella legge di bilancio non saranno stanziati tre miliardi, si dimetterà.

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