Il riscatto del Sulcis per un lavoro libero

Nonostante il voto della Camera, che ha rigettato lo stop all’invio di bombe destinate alla guerra in Yemen, non può fermarsi l’impegno dei “cittadini del mondo” per un lavoro giusto. Le riflessioni di una delegata di Iglesias all’incontro dei cattolici italiani di Cagliari.

Quel voto alla Camera, lo scorso 19 settembre, avrebbe potuto cambiare nel lungo periodo le sorti del nostro territorio del Sulcis Iglesiente e della politica estera nazionale. Il Parlamento europeo auspicava che Federica Mogherini, Alto rappresentante dell’Unione europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza, intraprendesse «un’iniziativa finalizzata all’imposizione da parte dell’Ue di un embargo sulle armi nei confronti dell’Arabia Saudita, tenuto conto delle gravi accuse di violazione del diritto umanitario internazionale da parte di tale paese nello Yemen».

Se le coscienze delle persone che ci rappresentano in Parlamento fossero state più forti degli ordini di scuderia, il miglior cliente della RWM, industria controllata dalla tedesca  Rheinmetall Defence che produce bombe in Sardegna, non avrebbe di fatto più potuto acquistare ordigni italiani. Si sarebbe così aperta una difficile, tortuosa, ma non impossibile strada ad altre ipotesi. Il lavoro, così raro nel nostro territorio, si sarebbe orientato diversamente: non a produrre morte, ma ad avviare una rinascita. Con il concorso di molti. Se la politica regionale non fosse incredibilmente silente e quella nazionale fosse coerente con la Costituzione.

Le mozioni che hanno avuto come primi firmatari Corda e Marcon andavano al sodo, come avevano auspicato gli organizzatori della conferenza stampa tenutasi il 21 giugno a Montecitorio.  Allora in Parlamento erano davvero in pochi ad occuparsi della questione delle armi italiane vendute ai Paesi in guerra. Adesso la fabbrica del silenzio, come la chiamiamo qui, non può più passare inosservata.  È cresciuta come un fungo muto, impercettibile, dopo che il silenzio era calato sulla grande ribellione collettiva del 2001, la rivolta di un territorio che non voleva la riconversione della fabbrica di esplosivi per miniera in industria bellica e poi aveva messo i remi in barca, quasi inspiegabilmente. Prima del 7 maggio scorso, giornata della manifestazione Run for Unity ad Iglesias, che ha voluto mettere il dito nella piaga, qui la RWM la ricordavano in pochi. Manifestazione a IglesiasSolo quei rari cittadini ancora tenacemente impegnati nelle manifestazioni per la riconversione, e quelli  direttamente interessati al lavoro dentro la fabbrica.

Per il resto della popolazione c’era un vago sentore che ci fosse qualcosa di simile ad una polveriera, le cui produzioni non erano ben chiare quasi a nessuno. Adesso siamo arrivati in Parlamento. Molti interventi provenienti dai vari schieramenti hanno citato il caso sardo, che è sardo per collocazione, ma nazionale e internazionale per portata. Alcuni dei deputati hanno dichiarato che il commercio delle armi è una risorsa intoccabile per la nazione, perfettamente in linea con quanto sostenuto dal ministro della Difesa Roberta Pinotti.

Altri blocchi precostituiti hanno presentato mozioni annacquate, capaci di citare lo Yemen come Paese destinatario di risorse perché in crisi, omettendo che la crisi umanitaria più drammatica dal secondo dopoguerra, come la definisce l’ONU, è figlia di una guerra non autorizzata dalle Nazioni unite.

L’Italia che ripudia la guerra nella sua Costituzione, partecipa indirettamente, ma attivamente, con le sue bombe prodotte in Sardegna e autorizzate dal Governo, in barba alla L.185/90, al trattato europeo sul commercio delle armi e alle risoluzioni europee e della stessa Onu. Quindi il voto, pur avendo rivelato un numero di persone cresciuto che si interessa al tema e il coraggio di alcuni deputati che hanno votato in controtendenza rispetto al proprio partito, non è andato secondo le nostre speranze.

Non ci resta che ripartire dal coraggioso ordine del giorno del Consiglio Comunale di Iglesias, votato all’unanimità il 19 luglio, che ha avuto la forza di andare aldilà degli schieramenti e di darsi una linea di condotta che ricerca la pace e auspica una riconversione dei posti di lavoro.

Già il lavoro. Come si potrà a Cagliari, a pochi km di distanza dalla RWM, parlare di “lavoro libero, creativo, partecipativo, solidale” nel corso della settimana sociale dei cattolici italiani, se Confindustria e i sindacati locali riescono a dire che nessuna riconversione dell’industria bellica è auspicabile in questo territorio? Come invertire la rotta se si leggono sulla stampa locale dichiarazioni che vorrebbero eliminare l’etica dai ragionamenti di sviluppo? La sfida per noi è ancora più grande.

Siamo cittadini del mondo. Vogliamo guardarlo, in questa situazione, con gli occhi di uno yemenita, e con il cuore di papa Francesco, che ha mandato parole di sostegno al nostro comitato, in linea con tutto il suo pensiero per la pace, contro la guerra e la vendita di armi.

 

 

Cinzia Guaita è portavoce, con Arnaldo Scarpa,  del “Comitato per la riconversione della RWM Italia , la pace, il lavoro sostenibile, la riconversione dell’industria bellica e il disarmo, la partecipazione civica a processi di cambiamento, la valorizzazione del patrimonio ambientale e sociale del Sulcis Iglesiente”

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