Risarcire le vittime di sangue infetto?

In forse i pagamenti che la Corte europea ha imposto all'Italia. La procedura farraginosa delle richieste, la crisi economica e la scarsità di risorse finanziarie disponibili rendono incerto il risarcimento. L'Adasi ha attivato un numero verde
sacche di sangue

«Il ministero è debitore verso più di 70 mila persone, malati che hanno contratto l'epatite e/o l'Aids a causa del sangue infetto. Ma alla fine farà marcia indietro, per mancanza di soldi, al massimo liquiderà poche persone, sperando che tutti gli altri non facciano causa. È anche su questo che noi vogliamo iniziare a fare informazione». A parlare è il portavoce della Adasi (Associazione italiana danneggiati sangue infetto, di recente costituzione), che preferisce restare anonimo, anche lui vittima di epatite a causa di una trasfusione, che da alcuni giorni ha attivato un numero verde per rispondere alle domande di chi sta affrontando la propria battaglia nei confronti dello Stato.

Gli input per questa decisione sono stati gli ultimi due sviluppi di questa annosa vicenda: la sentenza della Corte di Strasburgo dello scorso 3 settembre, che condanna l'Italia per violazione dei diritti del malato, in quanto non paga l'indennità integrativa da rivalutare ogni anno in base al tasso d’inflazione (così come previsto dalla legge 210/92) e poi la decisione del ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, di qualche giorno fa, di stanziare nella prossima legge di stabilità 100 milioni di euro per queste persone. Cifra che proprio i malati giudicano una goccia nel mare e che servirà a mala pena, sostengono, per 10 mila persone, lasciando fuori il resto dei quasi 80 mila danneggiati in Italia, di cui duemila solo in Sicilia. Perché, a conti fatti, considerato che gli arretrati di ogni danneggiato ammonterebbero in media a circa 15 mila euro all'anno, si intuisce facilmente come la cifra da stanziare dovrebbe essere molto più cospicua di quella prevista dalla Lorenzin. 

Oltre a questo c'è anche la confusione ingenerata nei malati sul pagamento degli indennizzi, che non è automatico, ma per il quale si deve fare richiesta. «L'idea con cui è nata l'associazione – spiega il referente di Adasi – è quella di aiutare i malati di epatite C e di Hiv che hanno contratto queste malattie in seguito a trasfusioni, vaccini o farmaci prodotti con sangue infetto. Il nostro è un centro di ascolto col quale forniamo consulenza gratuita e, solo se necessario, supporto legale, avvalendoci degli avvocati con cui siamo in contatto». «Inoltre – continua – spieghiamo quali sono tutte le procedure necessarie da attivare per far valere i propri diritti nei confronti del ministero della Salute. Punti su cui regna tra i malati una gran confusione, come ad esempio il pagamento degli arretrati di indennità integrativa».

Pagamenti su cui qualcuno getta più d'una ombra. Sull'effettivo versamento grava il problema di reperimento delle risorse finanziare, di cui lo Stato non può non tener conto vista la crisi economica in cui ci troviamo. C'è anche un'altra difficoltà. Chi dovrà calcolare, infatti, caso per caso l'esatta cifra da pagare e concludere la procedura per le migliaia di persone debitrici? Risorse umane a cui il ministero dovrebbe attingere all'interno dei propri uffici e di cui probabilmente non dispone a sufficienza per concludere in tempi brevi.

«Al momento – concludono dall'associazione – al centro di ascolto le domande più frequenti sono quelle di natura legale, di persone già seguite da medici, su come attivarsi e a chi rivolgersi. Molto meno frequenti invece quelle sanitarie, sapere cioé se si ha o meno diritto a qualcosa perché malati. E qui ritorna di nuovo il problema della comunicazione ai cittadini che c'è nel nostro Paese». «Sulla questione rimborsi – continua ancora il portavoce di Adasi – continua a esserci molta confusione tra i malati, dovuta principalmente alla cattiva informazione che c'è sull'argomento, perché il pagamento non è affatto automatico come pensano alcuni. Anche su questo punto forniremo delle delucidazioni. Oltre al nostro numero di telefono, è possibile visitare la pagina Facebook o inviarci una email».

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