Riforme allo stallo

Prima un gruppo di una decina di saggi incaricato da Napolitano. Poi una Commissione di studio di quarantadue esperti nominata dal governo Letta. Infine una consultazione pubblica online avviata dal ministro per le Riforme costituzionali per tastare il polso al Paese. Ma il Parlamento, unico soggetto deputato a legiferare nel merito, naviga a vista
Quirinale

Facciamo il punto. Il gruppo dei saggi nominato il 30 marzo da Napolitano, presentò la sua relazione conclusiva prima dell’insediamento (avvenuto il 28 aprile) del governo Letta.

Dal canto suo, la Commissione per le riforme costituzionali, insediatasi il 12 giugno con funzioni consultive nei confronti del governo e nel rispetto della centralità del Parlamento, ha concluso i propri lavori consegnando un report finale di 40 pagine.

E anche la consultazione pubblica online, avviata l’8 luglio attraverso il sito www.partecipa.gov.it e articolata su tre livelli (un questionario breve, un questionario di approfondimento e una terza fase di discussione pubblica) si avvia a conclusione. La fase di discussione pubblica continua, in partnership con Italia Camp su partecipa.italiacamp.com, e nei prossimi giorni sarà pubblicato sul sito del ministro per le Riforme costituzionali il rapporto esteso di analisi della consultazione, che sarà consegnato e presentato al presidente della Repubblica, al presidente del Consiglio, ai presidenti di Camera e Senato e ai presidenti delle Commissioni affari istituzionali.

È utile tutto questo lavoro?  La Commissione consultiva si limita a presentare un dossier riepilogativo, per quanto ben strutturato, delle diverse ipotesi di riforma che da più decenni sono in discussione nel Parlamento (e nel Paese), senza pervenire alla proposizione di una sintesi unitaria, considerato che sui punti più controversi sono emerse nette divergenze (di cui, peraltro, la relazione della Commissione prende atto).

In proposito, c’è chi si chiede – come il prof. Gaetano Azzariti, ordinario di Diritto costituzionale all’università La Sapienza di Roma – se, «per mettere in ordine una discussione ventennale, fornendo al Parlamento del materiale per far comprendere le possibili opzioni e le conseguenze delle diverse scelte», fosse proprio necessario «scomodare quarantadue autorevoli esperti per scrivere un vademecum delle riforme costituzionali», aggiungendo, provocatoriamente, che «per far questo sarebbe stato sufficiente incaricare gli ottimi uffici-studi di Camera e Senato, che elaborano sistematicamente degli eccellenti dossier su tutte le principali questioni di interesse parlamentare». Interessante la motivazione che propone al riguardo il prof. Azzariti: «agli esperti si chiede un surplus di legittimazione». Ma è fin troppo ovvio che, non avanzando alcuna proposta avente valore di sintesi unitaria, «l’effetto principale del lavoro degli esperti è di legittimare tutte le diverse opzioni, ciascuna con una propria "copertura" scientifica».

In poche parole: un lavoro pressocché inefficace per indirizzare il dibattito in Parlamento, all’interno del quale si ritrovano, specularmente, le medesime divergenze di posizioni evidenziatesi all’interno della Commissione consultiva degli esperti.

Archiviato il precedente lavoro dei saggi nominati da Napolitano, e rivelatosi poco utile alla causa quello degli esperti nominati dal governo, dubitiamo seriamente che possa essere presa in considerazione la voce dei cittadini che hanno creduto nella possibilità di partecipazione popolare offerta dalla consultazione online.

Le riforme le fa il Parlamento sovrano. Ma questo Parlamento, con un sistema politico debole, non riteniamo sia nelle condizioni di affrontare una profonda riforma costituzionale, non essendo stato capace, finora, neppure di modificare la legge elettorale. E non appare neppure legittimato a mettere mano alla revisione di mezza Costituzione (61 articoli su 139), per di più forzandone la rigidità dettata dall’art.138 attraverso una «procedura straordinaria».

Teniamo viva la memoria. Questo Parlamento, che dovrebbe modificare profondamente la Carta costituzionale, è forse il meno rappresentativo della storia del nostro Paese. Alle ultime elezioni, l’astensionismo ha raggiunto punte mai toccate (con 11,5 milioni di cittadini che non sono andati a votare), e, non dimentichiamolo, si tratta ancora (per la terza volta, grazie al Porcellum) di un Parlamento di “nominati” e non di “eletti”.

E, infine, va tenuta presente la lezione del 2006, allorché la volontà popolare si espresse fortemente in senso contrario ad una proposta di cambiamento radicale della Costituzione del 1948, attraverso il referendum costituzionale.

Allora, ci si limiti ad intervenire, se si è capaci, sui pochi punti sufficientemente chiari sui quali c’è margine di ampia condivisione. Ad esempio: il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, la riforma dei partiti, l’abolizione delle provincie. E, naturalmente, si trovi finalmente la quadra per varare una nuova legge elettorale.

Si soprassieda invece, per favore, in attesa di tempi migliori (un sistema politico più forte, animato da vero "spirito costituente" e meno segnato da contrapposizioni inconciliabili), dall’affrontare questioni radicali e divisive come la forma di Stato e di governo.

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