Ricordo di Romana Guarnieri

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Cara Romana. Per una circostanza imprevedibile e imprevista ne divenni amico qualche anno fa, entrando in un rapporto reciprocamente rispettoso ma via via più confidente, aperto, largo. La studiosa, di fama europea, della mistica femminile medievale, era lei stessa una libera beghina, consacrata laica senza nessun segno, anche interiore intendo, di restrizione ecclesiastica. Costretta su una sedia a rotelle negli ultimi sette anni di vita, tormentata da molti mali più o meno gravosi, viveva la sua condizione di novantenne valetudinaria con un coraggio alleggerito da autoironia e assoluta sincerità, da far invidia a tutti i sani-belli-forti del circo equestre mediatico. Aveva una straordinaria apertura alla contemporaneità, potendosi muovere poco e male, e, poiché le andava via la memoria, potendo ben poco scrivere, leggeva quanto possibile, e si immergeva in Internet, proprio così. Mi diceva con entusiasmo: Non sai quanti messaggi, sapendo scegliere, di persone, di giovani che lanciano i loro testi, poesie, riflessioni, comunicazioni; mentre si comunica così poco; e vi vedeva un segno dei tempi. Viveva in un piano-veranda alla nordica, lei di padre italiano e di madre olandese, senza potersene spostare, le erano compagni la natura del giardino nel suo variare stagionale, un vecchio cane e un paio di gatti magnifici e poltroni che venivano a raccogliere carezze quando gli andava. Tra obbligate lentezze e medicazioni necessarie era disponibile a una certa ora: Dopo le dieci! mi diceva, cosa molto utile a me che abitando lontanissimo avevo bisogno di un’ora e mezzo per arrivare a via delle Fornaci. La sua vita (Ho vissuto!) era stata una favola, tra viaggi europei arditamente (per allora) solitari, studi, e poi l’incontro fondamentale con don Giuseppe De Luca (1898- 1962), straordinaria figura di pretescrittore finissimo, uomo di vasta e profonda cultura, patrocinatore di letterati e studiosi d’ogni idea, promotore delle Edizioni di Storia e Letteratura ancor oggi vive, autoreiniziatore dal grande filone di ricerca di Storia della pietà per la quale scrisse il suo capolavoro, l’Introduzione alla storia della pietà; e del quale è in corso l’Edizione Nazionale delle opere. Comprendendone la vocazione solitaria, il sacerdote aveva chiesto a quella ragazza bionda e bella di affiancarlo negli studi e nell’impegno editoriale, aiutandolo nel contempo a salvare il suo sacerdozio . Romana me ne parlò con pudore schiettissimo, lasciandomi a bocca aperta con quella vicenda, davvero stilnovistica di amore solo spirituale, incomprensibile da logica umana. Avevo di fronte un monumento di donna, tanto più con l’apparenza di non esserlo, nonostante le dimensioni che l’immobilità forzata aveva dolorosamente accresciuto. Allora trovai il coraggio di dirle anche che desideravo pubblicare le mie poesie, dopo aver incontrato sulla mia strada tante blasonate teste di rapa. Si offrì dì leggerle – con il patto di assoluta sincerità di giudizio -, le piacquero molto, anche se non era d’accordo con certe affermazioni contenute nei testi, le avviò nella sua collana presso l’editore Marietti di Milano. Quando la vidi pochi giorni prima della sua scomparsa, era sofferente, ma mi chiese se dovevamo parlare di qualcosa. Niente, solo gli auguri, dissi porgendole in regalo un gioiello poetico, il Platero e io di J.R. Jimenez. Una stretta di mano. Lo avrà sfogliato? La sera che seppi della sua morte niente poteva consolarmi. Mi posi ad ascoltare il colossale Requiem di Verdi, e mi sembrò scritto per lei come Verdi lo aveva scritto per Manzoni.

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