Ricordando il cardinale Michele Pellegrino

La piccola comunità di Vallo non ha dimenticato l’arcivescovo di Torino, grazie al suo magistero nel dare attuazione al rinnovamento pastorale portato dal Vaticano II, una linea ancora attuale su dialogo, fraternità, rispetto dell’uomo, impegno nella vita civica, sindacale, politica. Domenica 9 ottobre, verrà ricordato nella messa delle 10,30, a 30 anni dalla morte
Cardinal Pellegrino

Comparrocchiano e concittadino, padre Michele Pellegrino. Per Vallo, l'arcivescovo di Torino è stato molto più di un cittadino onorario. Padre Pellegrino ha infatti scelto Vallo (800 abitanti oggi, 700 allora) come residenza dopo aver guidato la Diocesi di Torino dal 1965 al 1977. E la piccola comunità non l'ha certo dimenticato. Domenica 9 ottobre, Pellegrino verrà ricordato nella messa delle 10,30, a 30 anni dalla morte, il 10 ottobre del 1986.

 

Alla guida della diocesi negli anni del post-concilio, impegnò il suo magistero nel dare attuazione al rinnovamento pastorale portato dal Vaticano II. Ne fu espressione la lettera pastorale “Camminare insieme”, scritta 45 anni fa, una linea ancora attuale tracciata nel solco del Vangelo, con «le mete che il cristiano si deve proporre» di dialogo, fraternità, rispetto dell’uomo, impegno nella vita civica, sindacale, politica.

 


L’anno successivo, 1972, diede avvio al diaconato permanente, ripristinato dal Concilio, affidandone la responsabilità a don Giovanni Pignata e a don Vincenzo Chiarle, parroco di Vallo. Torino fu tra le prime diocesi in Italia, con frutti importanti per la Chiesa e il tessuto sociale. Un altro legame con la comunità di Vallo, di cui padre Pellegrino aveva sperimentato la “vivacità” fin dalla visita pastorale del dicembre 1968 – durante la quale conobbe e ascoltò cantare Maria Orsola Bussone, oggi venerabile –. Tornò spesso a Vallo. Il 2 giugno 1973 inaugurò il centro parrocchiale nel quale celebrerà più volte la messa al termine di incontri interparrocchiali animati dalla spiritualità dell'Unità propria del Movimento dei Focolari.


È parso dunque naturale a don Chiarle – parroco allora e oggi – mettere a disposizione dell'Arcivescovo la casa al ritiro dalla Diocesi. La discrezione del padre lo spingeva a ritirarsi lontano da Torino, ma alla fine accettò. A Vallo continuò i suoi studi patristici intervallati da conferenze e predicazioni, in Italia e all’estero, accompagnato in auto o al treno da chi, allora giovane, ne conserva immagini di semplicità. «Mi colpiva quando in macchina rileggeva i suoi testi – sottolinea Giorgio Bussone, fratello di Maria Orsola – e poi chiedeva a me cosa ne pensavo».

 

Tutti ricordano le messe settimanali dopo le quali si fermava amabilmente a conversare, sentendosi, come diceva a don Chiarle, “il viceparroco”. Omelie semplici ma profonde, come quella di ritorno dal Conclave in cui fu eletto papa Giovanni Paolo II, come lui padre sinodale. A Rocca di Papa, conobbe anche Chiara Lubich e Igino Giordani, con cui condivise l'amore per la Patristica.
 

L’ultima sua omelia a Vallo, il 7 gennaio 1982– un ictus lo colpì la mattina dopo – ruotava attorno alla frase «Confidate, ho vinto il mondo», la stessa che appare sulla tomba di Maria Orsola. «Il cristiano vince – sottolineò quella sera dal pulpito della parrocchiale di Vallo – quando segue il Vangelo nell’adempimento quotidiano del suo dovere». L’esempio che lui diede da vescovo, l’esempio che ci lasciò una ragazza morta a 15 anni, Maria Orsola, entrambi attuali. Imitabili nel cammino di santità. 

 

«La lezione ecclesiale di padre Pellegrino, che conobbi a Vallo – evidenzia Piero Coda – è attuale e urgente, oggi più di ieri. Una lungimirante profezia nella quale intravedo 6 tratti caratteristici del suo stile episcopale: il primato di Dio, l’unione con la Parola, l’interpretazione ineguagliata dell'ecclesiologia del Concilio Vaticano II, l’annuncio ai poveri, la profezia di speranza con i giovani, l'esperienza di Gesù risorto. “Io ho vinto il mondo”, la frase commentata nell’ultima omelia a Vallo, prima dell’ictus. Ecco a cosa porta la fede che si traduce nella coerenza di tutta la vita. Ecco lo stile, carico di verità e di amore, di un vescovo e cristiano da cui oggi abbiamo ancora molto da imparare».

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