Ricordando Fouad Allam

Fouad Allam

Ci eravamo conosciuti agli inizi degli anni 80 all’interno dei grandi volumi di travertino bianco, stile ventennio, della sede centrale dell’Università di Trieste, appoggiata alla collina che sale verso Opicina. Un collega della facoltà di Scienze Politiche mi aveva fatto incontrare questo inusuale studente, nordafricano di aspetto e di provenienza.

 

Le idee che esprimeva, con un forte accento d’oltralpe, rivelavano una notevole capacità di giudizio, espresso sempre in modo pacato. Nato in Algeria, di religione islamica, parte dei suoi anni giovanili passati in Francia insieme alla sua famiglia di origine, Fouad Allam aveva avuto l’occasione di portare avanti la sua passione per lo studio proprio in quell’estremo angolo della Comunità Europea. Conoscendolo di più seppi che frequentava dei convegni di dialogo interculturale e interreligioso che si tenevano al passo della Mendola e di cui conoscevo alcuni partecipanti.

 

Quello che mi colpì nella sua posizione, che non rifiutava in nulla la sua appartenenza, era la tollerante accettazione del nostro mondo cristiano, nonostante ne conoscesse i limiti e le colpe storiche, insieme ai pregi e ai meriti. Non restai quindi sorpreso  quando, parlandomi del suo imminente matrimonio, mi disse che lei era una cristiana. Mi sorprese, invece, un attimo dopo, quando mi chiese di fargli da testimone.

 

La cerimonia si svolse con il rito cattolico, ma all’uscita uno zio benedisse gli sposi secondo un rito della sua tradizione, tra le antiche pietre della piazzetta antistante la chiesa di Ossero (il paese che fa da cerniera tra le isole di Cherso e Lussino). Ricordo i capretti cotti alla brace sulla riva del mare e una lunga festa con gli invitati franco-italo-algerini.  

 

Da allora, nonostante avessi lasciato Trieste, beneficiammo di varie occasioni d’incontro, alcune proprio in quelle bellissime coste del Quarnaro. Fouad stava diventando un osservatore sempre più apprezzato della complessa situazione mediorientale. Aveva avuto un incarico di insegnamento all’università di Urbino e iniziava ad apparire sempre più spesso su giornali e canali tv, portando sempre una lettura non scontata dei fatti, fondata sulla conoscenza della complessa storia dei rapporti tra Europa e Islam. Continuava a caratterizzarsi per un atteggiamento di dialogo senza pregiudizi e per la disponibilità ad evidenziare, non solo gli errori di parte occidentale, ma anche quelli della sua parte.

 

Una volta gli chiesi se si rendesse conto del rischio che correva, perché non tutti erano disposti a condividere e neanche a tollerare le sue posizioni. Mi disse che lo sapeva ma che non poteva comportarsi diversamente, perché Dio gli chiedeva di fare quello. Poi vennero gli anni del Parlamento e di molti altri ruoli e incarichi, che lo portavano molto spesso verso Roma.

 

L’ultima volta lo incontrai proprio su un treno, preoccupato da questioni personali e da problemi di salute che si stavano intensificando. Non gli espressi tutta la vicinanza che avrei dovuto. Una ragione in più per ricordarlo ora: amico, uomo di cultura, credente, coraggioso promotore di quell’incontro rispettoso tra mondo cristiano e mondo musulmano di cui mai come oggi il futuro dell’umanità ha un enorme bisogno.       

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