Renzi crea il suo partito

Per alcuni non si tratta di una scissione dal Pd ma di una separazione consensuale. Anche se attesa da tempo, la mossa dell’ex presidente del consiglio apre molte incognite
AP Photo/Alessandra Tarantino

La creazione del partito di Matteo Renzi è stato “il segreto di Pulcinella”, fino alla telefonata, nella notte del 16 settembre, del senatore di Rignano sull’Arno al presidente del Consiglio Giuseppe Conte.

Se ne attendeva l’annuncio in pompa magna nella kermesse della Leopolda del 18-20 ottobre, ma qualcosa deve aver fatto anticipare i tempi.  Di fatto, la componente della corrente renziana del Partito democratico, fortemente rappresentata in Parlamento, non si è seduta ai tavoli della nuova maggioranza di governo dove anche Leu, pur nella sua controversa composizione, è stata presente.

La mossa è apparsa evidente con le interviste dei fedelissimi dell’ex presidente del consiglio comparse sulla stampa di domenica 15 settembre, che hanno iniziato a parlare di “separazione consensuale” al posto di “scissione”.  Lo stesso Goffredo Bettini, autorità di riferimento del Pd di Zingaretti, aveva praticamente riconosciuto l’ineluttabilità della vicenda in un’ intervista al Corsera di sabato 14 settembre, precisando che non si tratta di uno “scisma”  perché non esiste una «rottura dottrinaria irreparabile», ma solo la «formazione di un movimento autonomo» da parte di coloro che non sentono rappresentate le loro «istanze e sensibilità più riformiste, liberali e moderate».

Eppure proprio questi termini (“moderati , liberali e riformisti”) assieme a “garantisti” e “cristiani”, sono gli stessi rivendicati da Berlusconi  per dare voce ad una componente neocentrista distinta dalla deriva degli irruenti alleati sovranisti che si sono radunati, domenica 15 settembre, sul pratone di Pontida per confermare il loro sostegno a Matteo Salvini.

Era nell’aria l’attesa di una formazione politica simile a quella francese di Emmanuel Macron, anch’egli proveniente dal centrosinistra del partito socialista, dissanguato da tale scissione.  Il nuovo partito En Marche, nato nel 2017, portatore della tradizionale grandeur d’Oltralpe, ha rapidamente conquistato il vertice della repubblica presidenziale fino a pretendere di giocare un ruolo di primo piano in Europa, nel rapporto con la Germania, e una ambiziosa strategia diplomatica internazionale.

Il cammino della “cosa” di Renzi sembra molto più accidentato. Forse non tutti i suoi “amici” lo seguiranno in questo percorso che precedenti  segretari del Pd hanno cercato di fare a sinistra con pessimi risultati, ma stavolta il campo da rappresentare è diverso.

Certo, non si comprende bene quale sia la “dottrina politica”, come direbbe Bettini, che lo contraddistingue e bisognerà leggere con attenzione il “manifesto” fondativo ormai prossimo alla pubblicazione sul web.  Si può intuire, tuttavia, che sarà radicalmente alternativo al Pd dove gli attuali maggiori esponenti chiedono addirittura di mescolare l’elettorato dem con il M5S.

Difficile immaginare la scomposizione del partito democratico in due parti pronte ad allearsi per “marciare separati e colpire uniti”. In molti ricorderanno il passaggio traumatico, palesato nella gelida cerimonia della campanella, nel 2014, della presidenza del consiglio da Enrico Letta a quella di Matteo Renzi, entrambi di provenienza dc.

Ancor più difficile sembra il cammino del neonato esecutivo Conte 2 che ha visto un Pd ai minimi storici tornare inaspettatamente in ruoli chiave per il governo del Paese, mentre due suoi rappresentanti sono andati a ricoprire cariche importanti in Europa.

In una serie di incomprensibili mosse e contromosse, l’Italia, che deve affrontare sfide decisive per il suo futuro, ha assistito in pochi giorni all’azzardo agostano di Salvini e, ora, a quello di Renzi che nonostante ogni rassicurazione, resta aperto ad ogni incognita.

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