Referendum, votare SI per la dignità del lavoro

I referendum sono innanzitutto uno straordinario strumento per permettere alle persone di potersi esprimere: a differenze degli altri appuntamenti elettorali, come è noto, il referendum ha il potere di cambiare direttamente delle leggi, senza intermediazione.
È uno strumento previsto e garantito dalla nostra Costituzione. Ognuno e ognuna votando ha la possibilità di cambiare in meglio il Paese.
Per dare idea di cosa parliamo e del perché sia giusto andare a votare e votare sì, analizziamo il merito dei quesiti.
Il primo quesito riguarda il ritorno del famoso articolo 18 dello statuto dei lavoratori, abolito definitivamente con il contratto a tutele crescenti del Jobs Act nel 2015, che aveva la funzione di tutelare le lavoratrici e i lavoratori di fronte a licenziamenti illegittimi. Sono state dette tante bugie su questo quesito, ma la realtà è molto semplice: se si raggiunge il quorum e vince il sì, chi viene ingiustamente licenziato ha il diritto ad essere reintegrato nel suo posto di lavoro.
Con la legislazione attuale, invece, il datore di lavoro può decidere comunque di tenere il lavoratore o la lavoratrice fuori dal posto di lavoro con il pagamento di qualche mensilità di stipendio come risarcimento. Si tratta di un diritto che verrebbe garantito ad oltre 3,5 milioni di persone (sono coloro assunti dopo il 2015) e in più a tutti quelli che verranno assunti da giugno in poi.
È una battaglia di civiltà e riguarda il modo in cui si concepisce il lavoro: per noi è e rimane un diritto e non una merce che si può comprare e vendere.
Il secondo quesito riguarda sempre la tutela in caso di licenziamento illegittimo, ma nelle imprese con meno di 16 dipendenti. Parliamo di quasi 4 milioni di lavoratrici e lavoratori nel nostro Paese. Oggi una lavoratrice o un lavoratore può al massimo ottenere 6 mensilità di risarcimento, anche qualora una/un giudice reputi infondata l’interruzione del rapporto.
Questa è una condizione che rende le/i dipendenti delle piccole imprese ricattabili dal proprio titolare. L’obiettivo è innalzare le tutele di chi lavora, cancellando il limite massimo di 6 mensilità all’indennizzo in caso di licenziamento ingiustificato affinché sia la/il giudice a determinare il giusto risarcimento senza vi sia alcun limite prefissato.
Il terzo quesito si concentra sulla riduzione del lavoro precario. In Italia circa 2 milioni e 300 mila persone hanno contratti di lavoro a tempo determinato. I rapporti a termine possono oggi essere instaurati fino a 12 mesi e rinnovati senza che ci sia una particolare ragione.
La liberalizzazione dei contratti a termine è uno dei problemi più gravi che colpisce il mercato del lavoro nel nostro Paese ed è la causa principale della dilagante precarietà. In caso di approvazione di questo quesito, si ripristina l’obbligo di causali per il ricorso ai contratti a tempo determinato. In sostanza, il contratto a termine non è più il modo normale con il quale si assume una persona e per farne ricorso deve esserci una ragione precisa. Così facendo si dà maggiore stabilità soprattutto alle giovani generazioni che, più di tutte, subiscono il dramma della precarietà.
Il quarto quesito vuole dare una risposta concreta sul tema della sicurezza sul lavoro. Le morti e gli infortuni sul lavoro sono diventati ormai un dramma nazionale: oltre mille morti e più di 500 mila infortuni sul lavoro ogni anno. Sembra un bollettino di guerra.
È un tema che tocca tutte e tutti e al quale bisogna collettivamente dare una risposta. Il modello di fare impresa che si è affermato in Italia negli ultimi anni ha favorito tutto l’aumento degli infortuni e delle morti sul lavoro. Chiaramente non tutte le imprese sono uguali, cadere nella generalizzazione non è nostra usanza. Ci sono imprese per bene che investono nella sicurezza e garantiscono condizioni di lavoro dignitose alle lavoratrici e ai lavoratori. Ma bisogna anche guardare dove così non è e non voltarsi dall’altra parte: negli ultimi 25 – 30 anni il modello di fare impresa si è concentrato più sul profitto che sulla dignità della persona, tramite la logica del massimo ribasso, degli appalti e subappalti a cascata, con le finte cooperative.
Tutto ciò con l’obiettivo di abbassare i costi aumentando il profitto, anche rischiando di mettere a repentaglio la vita delle persone. E non abbiamo paura a dire che questo è stato favorito e permesso anche da una legislazione sbagliata. Con questo quesito modifichiamo le norme attuali che impediscono in caso di infortunio negli appalti di estendere la responsabilità all’impresa appaltante. Se una persona muore o si infortuna sul lavoro, deve risponderne l’impresa che ha commissionato l’appalto. Cambiamo le leggi che favoriscono il ricorso ad appaltatori privi di solidità finanziaria, spesso non in regola con le norme antinfortunistiche.
Abrogare le norme in essere ed estendere la responsabilità dell’imprenditore committente significa garantire maggiore sicurezza sul lavoro. Tutte le stragi che si sono verificare in questi anni si potevano e si dovevano evitare. Con questo referendum possiamo fare un passo decisivo in questa direzione.
In queste settimane abbiamo visto tanti soggetti politici e istituzionali, a partire dal presidente del Senato, esprimersi e fare propaganda per l’astensionismo. La prima domanda che ci siamo posti è: ma di cosa hanno paura? Se si riuscirà a raggiungere il quorum, ogni persona avrebbe maggiori diritti e maggiori tutele. Sarebbe questo il problema? Siamo stati accusati di fare una battaglia di retroguardia, di guardare solo al passato e non al futuro.
Se estendere i diritti, voler ridurre la precarietà, porsi il problema della sicurezza sul lavoro e ridare dignità e centralità a chi lavora sono battaglie di retroguardia, noi siamo orgogliosi di essere retrogradi.
Pensiamo, invece, che questi temi siano fondamentali e che senza queste precondizioni il nostro Paese non avrà un futuro. Noi non ci vogliamo arrendere ad una condizione che negli ultimi 10 anni ha visto emigrare 550 mila giovani, soprattutto a causa del lavoro precario e sottopagato.
Questi referendum vogliono dare risposte concrete e precise a problemi reali come la precarietà, la sicurezza sul lavoro, e i licenziamenti ingiusti. Sono problemi che riguardano tutte e tutti. E a cui tutte e tutti collettivamente dobbiamo rispondere. Se si raggiunge il quorum sarà solo l’inizio, vogliamo cambiare il Paese ed aprire una stagione dove il lavoro e la dignità delle persone ritornino al centro delle politiche della nostra nazione. Una persona che non può godere appieno di questi diritti non può definirsi libera.
E la libertà delle persone deve tornare ad essere una priorità. Sappiamo benissimo che non è una partita semplice ma, in queste settimane di grande mobilitazione che stiamo vivendo, si nota un crescendo di partecipazione che ci fa ben sperare.
Ci sono dei momenti nella storia in cui bisogna provarci, anche se l’obiettivo sembra difficile. Se le battaglie si fanno solamente quando si ha la sicurezza di vincerle sarebbe facile. I diritti non li ha mai regalati nessuno, sono sempre stati conquistati con le lotte democratiche delle lavoratrici e dei lavoratori. Non è stando a casa che si estendono i diritti.
L’obiettivo del quorum è raggiungibile. L’8 e il 9 giugno può cominciare una fase nuova e tutte e tutti hanno l’opportunità di essere partecipi con il loro voto. Lo dobbiamo a noi stessi e soprattutto lo dobbiamo alle giovani e ai giovani, per permettere loro di continuare ad avere un futuro in Italia.
Contributo al dibattito sul focus promosso da Città Nuova vedi qui