Referendum sulla cittadinanza, votare SI per il bene di tutti

L’8 e 9 giugno è stato indetto il referendum. Il quinto quesito riguarda l’abrogazione della norma che riporta a 5 anni, dagli attuali 10 di residenza regolare, il requisito richiesto ai cittadini immigrati per inoltrare domanda di concessione di cittadinanza italiana.
Le modalità di acquisizione della cittadinanza sono regolamentate da una norma del ‘92 e la residenza è uno dei requisiti richiesti in tutti i casi di concessione della cittadinanza, ma varia a seconda della posizione giuridica del cittadino, per cui è di 4 anni per cittadini dell’Unione Europea, 5 anni per rifugiati e apolidi, 5 anni per persone adottate da cittadini italiani.
Oltre al requisito della residenza regolare e continuativa, sussistono altri requisiti: di reddito per gli ultimi 3 anni in maniera continuativa fino all’ottenimento della cittadinanza, assenza di debiti o sanzioni, assenza di procedimenti penali e di condanne, e infine conoscenza della lingua italiana a livello B1.
Leggendo i requisiti colpisce la disparità di anni di residenza tra le diverse categorie, dal momento che da più parti si richiama come essenziale, per acquisire la cittadinanza l’“effettiva” integrazione: ci chiediamo perché siano necessari 4 anni a un cittadino comunitario, 5 anni a un titolare di asilo politico e 10 a un extracomunitario con permesso di soggiorno per lavoro.
La legge che regolamenta la cittadinanza è del 1992 e fino ad oggi i tentativi di modifica sono naufragati in Parlamento, da qui è nata l’esigenza di una proposta che, dal basso, intervenisse su un testo oramai superato, figlio di una società diversa, dove la principale attenzione del legislatore era volta a regolamentare la riacquisizione della cittadinanza ai milioni di italiani sparsi per il mondo attraverso l’applicazione di una normativa molto generosa, basata sullo ius sanguinis, per la quale l’unico requisito richiesto per il riconoscimento della cittadinanza era la dimostrazione di avere un nonno di origine italiana.
La Fondazione Migrantes da anni si batte per una modifica organica della normativa per l’acquisizione della cittadinanza e, avendo preso atto dell’incapacità delle forze politiche in Parlamento di procedere a una revisione, ha sostenuto il referendum dell’8 e 9 giugno e le ragioni del SI.
Vorrei soffermarmi su alcune questioni di principio.
La cittadinanza non è una semplice condizione giuridica che uno Stato riconosce a un individuo, conferendogli dei diritti e dei doveri, ma rappresenta il legame di appartenenza di un individuo a uno Stato, che implica un insieme di diritti civili, politici, sociali ed economici, oltre che di doveri verso la comunità. È un legame affettivo che deve essere scoperto quotidianamente, è un compito mai concluso perché acquisisce un significato sempre nuovo e ricco nel rapporto tra le persone, corpi intermedi e la società nel suo complesso.
La cittadinanza è un concetto articolato e processuale e sempre più nelle nostre comunità osserviamo una cittadinanza sostanziale che non coincide con quella formale.
In un recente sondaggio i ragazzi/ragazze non italiani presenti nelle nostre scuole tra gli 11 e 19 anni all’85,2% si sono dichiarati di sentirsi italiani e al secondo motivo indicavano “rispettare le legge e tradizioni italiane”. Allungare i tempi di acquisizione della cittadinanza da parte dei genitori implica che molti di loro non riusciranno ad acquisire la cittadinanza italiana, se non nati in Italia e regolarmente residenti fino al compimento del 18 anno di età, e pertanto dovranno seguire lo stesso iter dei genitori.
Ergo, abbiamo situazioni in cui un minore entrato in Italia a 4 anni, frequentate tutte le scuole in Italia e compiuti i 18 anni, non possa acquisire la cittadinanza dei genitori, che nel frattempo hanno presentato richiesta di cittadinanza, poiché non trasmissibile al neo maggiorenne. Sono migliaia. Gli esempi e le statistiche dimostrano che in Italia il tempo reale di acquisizione della cittadinanza è di una residenza stabile di 14 anni a cui vanno aggiunti i 36 mesi che per legge sono previsti per il rilascio.
Limitare l’acquisizione della cittadinanza vuol dire limitare la responsabilità sociale e politica e non educare alla cittadinanza favorisce una tendenza individualistica a discapito della dimensione sociale, della perdita del bene comune, dell’agire insieme per un fine comune, inibisce l’interesse e la passione sociale, in una parola indebolisce il Paese, che si trasforma in un luogo di passaggio, un luogo dove non ti senti accolto ma respinto. A sostegno di questo aspetto, per noi preoccupante, sono i dati registrati degli italiani all’estero.
Tra il 2012/2022 un 1.528.000 stranieri sono diventati italiani; negli stessi anni 1.179.525 giovani tra i 18 e 34 anni si sono trasferiti all’estero, di cui 146 mila italiani con background migratorio, temiamo che questa tendenza sia in aumento e il sintomo che una volta raggiunta l’agognata cittadinanza, sia venuta meno quella relazione affettiva che abbia permesso di vivere il paese non come il luogo di inclusione, ma di esclusione.
Infine vorrei rispondere a coloro che sostengono che l’Italia è tra i primi paesi per concessioni di cittadinanza in Europa, l’affermazione è vera: 217 mila nel 2024 rispetto alle 121 mila del 2021, ma il dato è determinato dal fatto che la popolazione immigrata in Italia è cresciuta dal 2001 al 2011 passando da1.334.889, nel 2001, ai 4.570.317, nel 2011; mentre nel decennio 2012/2022 è cresciuta solo di circa 700 mila unità, attestandosi nel 2024 a 5 milioni 755mila, quindi il numero di cittadinanze è determinato all’impennata di residenti immigrati e dall’aver raggiunto il termine di 10 anni per la residenza.
Dopo vari tentativi di riscrivere una legge superata, specchio di una società non reale, il referendum ci permette di far sentire forte l’esigenza di un nuovo intervento legislativo, indipendentemente dal raggiungimento del quorum, da qui il richiamo a esercitare il diritto di voto e di partecipazione per un istituto cosi importante come il referendum.
Contributo per un dibattito al Focus sul referendum dell’8 e 9 giugno 2025
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