Referendum immigrazione: astensione e nuova stagione di dialogo

Il tema di ridurre i tempi per l’ottenimento della cittadinanza italiana a cittadini stranieri che lavorano in Italia, conoscono l’italiano e non hanno commesso reati, è il tema del quinto quesito dei referendum del prossimo 8 e 9 giugno.
Questo quesito si inserisce in un clima molto caldo su questo tema, oggetto di dibattiti, trasmissioni televisive e polemiche quasi quotidiane. Una parte di opinione pubblica ritiene che si debbano “aprire le porte” e i porti a molti più stranieri di quelli che oggi entrano, legalmente ed illegalmente, in Italia ,perché c’è bisogno di manodopera e perché l’accoglienza è un gesto di solidarietà umana. Un’altra parte invece pone l’accento sulla necessità di regole e limiti alla immigrazione, in particolare a quella clandestina gestita da trafficanti, e sul fatto che c’è un problema di ordine pubblico e di sicurezza nazionale che non va sottovalutato, affiancando alla solidarietà umana anche la fermezza e la assertività nel rispetto delle regole che è dovuto in uno stato di diritto.
A mio avviso pertanto non si può considerare il quesito del 8 e 9 giugno come avulso dal dibattito politico in corso, si inserisce in questo clima politico e chi lo ha proposto, il partito +Europa che fa parte della coalizione di centro sinistra, lo fa per dare un preciso segnale politico.
Io faccio parte di chi ritiene che la priorità in Italia ed in Europa sia di arrivare ad una normativa adeguata e possibilmente comune sulla regolamentazione dei flussi in ingresso e sulla espulsione dei soggetti che delinquono. E condivido quanto affermato da Ursula Von der Leyen al Consiglio d’Europa e cioè che debba essere l’Europa a decidere chi entra e chi ha diritto a rimanervi, non bande di trafficanti a pagamento.
L’Italia è il secondo Paese europeo per numero di cittadinanze concesse; quindi, non vedo ad oggi necessità di intervenire sulla riduzione dei tempi di cittadinanza, tema su cui si può discutere in Parlamento e all’interno di un intervento più ampio, equilibrato e articolato che consideri anche i minori nati in Italia da cittadini stranieri. Non con la tagliola del referendum che è abrogativo e che nasce solo per dare un segnale politico, come sopra indicato. Quindi non parteciperò al voto.
Spendo un’ultima parola su quello che credo e auspico sia il ruolo dei cristiani, o di chi laicamente vive l’amore del Vangelo, su questo tema politico. Aiutare le diverse parti politiche a fare un passo indietro e a parlarsi, non accentuare la polarizzazione. Se si dà a chi chiede regole e limiti del “disumano”, si può provare piacere ritenendo di aver difeso i deboli ma non si fa un buon servizio né alla verità né agli stessi deboli che si vogliono difendere.
Umanità non è dire di sì a tutti o ritenere che se uno è in stato di bisogno può delinquere, occupare case, rapinare, senza conseguenze. L’“amare tutti” che anima la vocazione politica autentica va declinato in un sistema di norme e di relazioni internazionali che guarda al futuro, ma valorizza la tradizione democratica e liberale esistente e considera le reali possibilità di oggi. Donare al mondo uno stato di diritto funzionante, basato su regole e non sulla tirannia e l’arbitrio dei potenti e dei trafficanti di turno, è forse il miglior atto d’amore politico che l’Occidente e l’Europa possono fare.
Contributo per un dibattito al Focus sul referendum dell’8 e 9 giugno 2025