Rafforzare il senso di sicurezza

La Francia e altri 19 Paesi piangono le 84 persone falciate da un camion lanciato sulla folla, riunita per la festa nazionale del 14 luglio sulla Promenade des Anglais a Nizza. Choc e tristezza
Nizza

Quella sera, poco dopo la fine dello spettacolo pirotecnico, un camion di 19 tonnellate si è lanciato sulla zona pedonale ed ha percorso a tutta velocità 1700 metri prima che l’autista venisse fermato dalla polizia. Panico, fuga generale, gente che correva a mettersi al riparo senza sapere che cosa stesse accadendo. Alcuni si sono gettati in mare. Quelli che hanno vissuto questi momenti sono rimasti sotto choc; uno choc tanto più grande perché ha colpito bambini e adolescenti. Un’immagine straziante, quella di un corpo coperto da un drappo bianco accanto a cui giace una bambola. Bilancio: 84 persone uccise, 303 ferite, 121 ricoverati di cui 30 bambini, 26 dei quali sono ancora in rianimazione e 15 in prognosi riservata.

 

Sconcerto, dolore, tristezza, collera: questo cocktail di emozioni anima in diversi gradi le persone toccate da questo dramma. La vignetta di Plantu pubblicata su Le Monde di martedì 19 luglio riassume bene lo stato d’animo delle circa 42 mila persone radunate per un momento di commemorazione. «Il minuto di silenzio non ha avuto luogo a Nizza», hanno titolato i giornali. E in effetti grida di rabbia e invettive sono salite dalla folla in collera contro i politici, «responsabili delle falle nella sicurezza che avrebbero potuto impedire questo dramma». Il dito è puntato contro la vendita di armi: «Non serve a niente fare la guerra laggiù, perché ce l’abbiamo qui», si sente dire.

 

Le repliche assicurano una dura linea di difesa: l’autore del massacro, un tunisino di 31 anni, non faceva parte di una rete jihadista e l’inchiesta in corso non ha per ora dimostrato alcun legame formale con lo Stato islamico, benché questo abbia rivendicato l’attentato più di 72 ore dopo i fatti. Inoltre l’attentatore non ha agito con un’arma "classica". «Dobbiamo imparare a vivere con la minaccia terroristica», ha affermato il primo ministro Manuel Valls all’indomani del massacro. Ma le risposte della politica faticano a rassicurare e convincere. I francesi dubitano della capacità collettiva di chi riveste posizioni di responsabilità di affrontare la minaccia. Sicuramente il dispiegamento di forze di sicurezza è necessario e deve essere rafforzato, al tempo stesso nel rispetto del diritto e dei valori della Repubblica. Ma anche i rinforzi più perfezionati e intelligenti non serviranno a garantire quel senso di sicurezza a cui ciascun cittadino francese o visitatore ha diritto in una domocrazia. Perché? Perché è un sentimento interiore, mutevole, personale e collettivo al tempo stesso.

 

Oggi ci troviamo di fronte a una scelta: diminuire o rinforzare questo senso di sicurezza. La prima si inscrive in una retorica di sospetto, di odio e di vendetta che farà di ogni straniero o di ogni francese di origine straniera un potenziale terrorista. Leggiamo nei media che le tensioni verso i musulmani rischiano di intensificarsi, sebbene fossero un terzo delle vittime e l’autista del camion non avesse nulla di "musulmano". La seconda consiste nell’intensificare tutti i nostri sforzi personali e collettivi verso la pace. Solo atti concreti di aiuto reciproco, di benevolenza, di fraternità aiuteranno a ravvivare il senso di sicurezza. Sin dall’istante in cui il camion ha iniziato la sua corsa mortale, c’è stato chi ha agito in questo senso. Quattro uomini hanno cercato di fermare l’autista; Timothée Fournier, di 27 anni, ha spinto via sua moglie incinta di 7 mesi per proteggerla ma non ha resistito al colpo; Thierry ha salvato la vita di un bambino di 7 anni, con una prontezza di riflessi che il padre non ha avuto; una donna, anziana e invalida, è riuscita a correre con la sua migliore amica sotto choc della stessa età e in più prendere in braccio un bambino che si era perso. Poliziotti, soccorritori e operatori sanitari non hanno contato le ore di lavoro, di cure, di conforto. Dei volontari hanno ascoltato 15 mila persone traumatizzate dal dramma tramite un centralino dedicato. Abbiamo bisogno di esperti di pace e non di esperti di guerra e di paura, come ha scritto Laurent Bigot su Le Monde del 16 luglio.

 

Questo appello riguarda ciascuno di noi. E più di altri le persone incaricate della nostra sicurezza sul territorio nazionale.

 

Traduzione di Chiara Andreola

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