Quell’incoerenza ci porta all’eugenetica

Intervista al professor Spagnolo, direttore dell’Istituto di bioetica dell’università Cattolica, a proposito della sentenza della Corte europea dei diritti umani
Fecondazione assistita

Come era prevedibile, oscurando i temi sociali della crisi, sta suscitando in Italia forti divisioni e un serrato dibattito la sentenza della Corte europea dei diritti umani, che ha ravvisato il contrasto tra la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e la Legge 40/2004, nella parte in cui non consente a una coppia, portatrice sana di una malattia genetica, di accedere alle tecniche di procreazione medica assistita.
 
Il governo italiano sembra orientato, entro i tre mesi previsti, a ricorrere in appello davanti alla “Grande Chambre”. In caso contrario, la decisione diventerà immediatamente operativa con la rimozione delle anomalie segnalate dalla Corte.
 
Come ogni volta che si tratta di temi sensibili in fatto di bioetica, si parte dal caso particolare dei ricorrenti in giudizio: due genitori che alla nascita di un figlio affetto da fibrosi cistica si scoprono entrambi portatori sani del gene della malattia. Dopo una seconda gravidanza terminata con l’aborto (era comparsa la stessa patologia nel nascituro), chiedono, per essere sicuri di avere un figlio sano, di poter ricorrere alla procreazione medicalmente assistita, anche se la legge italiana la permette solo per le coppie non fertili o in presenza di malattie sessualmente trasmissibili. Secondo la Lega italiana sulla fibrosi cistica esisterebbero, nel nostro Paese, 2 milioni e 400 mila portatori sani della malattia.
 
La Corte di Strasburgo, istituita dal 1959 in seno al Consiglio d’Europa, ha ravvisato un contrasto interno nella legislazione italiana tra la normativa che impedisce, in questi casi, la diagnosi preventiva dell’embrione e quella che prevede l’interruzione volontaria di gravidanza per motivi terapeutici. Come affermano le associazioni che hanno presentato memorie giuridiche a sostegno del ricorso alla Corte europea, esisterebbe una contraddizione tra l’impossibilità di accedere alle tecniche di diagnosi prenatale e la possibilità dell’interruzione volontaria di gravidanza «che può determinare gravi danni alla salute e, di fatto, mina l’assetto psicologico del soggetto».
 
Cerchiamo di entrare nel merito della complessa questione intervistando il professor Antonio Gioacchino Spagnolo, direttore dell’Istituto di bioetica della facoltà di medicina e chirurgia “Agostino Gemelli” dell’università Cattolica del Sacro Cuore.
 
Secondo la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo esiste una contraddizione tra la Legge 40 sulla fecondazione medicalmente assistita e la Legge 194 sull’aborto.
«Si può osservare, invece, che esiste una contraddizione tra le stesse decisioni della Corte. Meno di un anno addietro, i giudici di Strasburgo hanno riconosciuto la protezione giuridica dell’embrione umano, dichiarandone la non brevettabilità, mentre in questo caso si fa prevalere il presunto diritto della coppia al figlio sano a costo di eliminare gli embrioni malati. La diagnosi genetica pre-impianto è uno strumento che la legislazione italiana vieta alle coppie fertili portatrici di anomalie genetiche non tanto per non procedere con una diagnosi ma perché, a tutt’oggi, la finalità della diagnosi non è la cura ma l’eliminazione dell’embrione malato impedendone l’impianto. In sostanza è una pratica eugenetica».
 
E dove sarebbe il contrasto tra le due leggi?
«La contraddizione è solo apparente e la Corte europea non ha colto il senso della legge italiana che permette l’aborto non direttamente in conseguenza della diagnosi del feto malformato o malato, ma solo se questo fatto determina uno stato di pericolo per la madre. Nella Legge 40 la diagnosi genetica pre-impianto conduce automaticamente al mancato impianto. L’aborto terapeutico previsto dalla Legge 194, per quanto odiosa, non vuol dire “feto malato uguale aborto”. In qualche modo si mantiene quel rispetto della vita umana fin dal suo inizio, come afferma il primo articolo della legge italiana sull’interruzione volontaria di gravidanza».
 
«Se non c’è coerenza tra le due leggi cambiamo la 194», ha affermato il presidente del movimento per la vita Carlo Casini…
«Cambiarla è sempre un’impresa rischiosa perché potrebbe essere peggiorata. In questo momento mi sembra opportuno, invece, far valere gli elementi di coerenza che ho sottolineato».
 
Quale altra inesattezza ha notato nella sentenza dei giudici europei?
«Secondo i giudici europei sarebbe incoerente la stessa Legge 40 che non permette la fecondazione artificiale alle coppie fertili portatrici di anomalie genetiche e la rende invece possibile per quelle coppie affette da malattie sessualmente trasmissibili come l’Hiv e l’epatite. Ma è del tutto evidente che in questo secondo caso non è richiesta una diagnosi genetica pre-impianto, con selezione dell’embrione malato, per evitare la trasmissione della malattia».
 
Non vede qualche spiraglio per un dialogo autentico su questi temi così laceranti?
«Purtroppo non lo vedo. Resto infatti stupito per l’enfasi data alla notizia della sentenza in maniera esasperata. Il dialogo è difficile perché ci riporta ai giorni del referendum sulla Legge 40. Bisogna cambiare un clima culturale molto limitato perché ci troviamo di fronte ad accuse di ritorno all’oscurantismo dei divieti, mentre si tratta di ragionare in termini di coerenza nel rispetto dei diritti umani. Di fatto ci troviamo di fronte a una serie di sentenze di diversi giudici italiani che hanno smantellato il corpo organico e coerente della legge stessa che cercava di tenere assieme il rispetto di tutti i protagonisti, dalla coppia all’embrione e al medico».

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