Quel senso di comunità

Davanti ad un’improvvisa situazione difficile scattano relazioni diverse. Il malore di una signora innesca un’operazione di prossimità: persone prima sconosciute diventano solidali. Siamo fatti per non stare da soli
soccorso

Mi trovavo ieri in una chiesetta di Roma frequentata normalmente da persone di un certo livello sociale. Signore anche anziane curate nei particolari, mariti con capi firmati.

Siamo all’omelia quando, due banchi davanti al mio, una donna, non più giovane, si accascia sul marito. La messa si interrompe: nessuno dei presenti è medico, ma immediatamente un signore tira fuori il cellulare, esce e chiama l’ambulanza. Con altri ci avviciniamo per sincerarci delle condizioni della donna e rassicurare l’anziano marito che la tiene stretta per mano: un quadro della tenerezza senza età.

Mentre la signora dà cenno di riprendersi, siamo tutti col fiato sospeso e si decide insieme di continuare con la celebrazione anche per tranquillizzare la persona coinvolta, fino a una nuova interruzione nel momento in cui arrivano i soccorsi, attesi da tutti per un lasso di tempo che sembra un’eternità, ma che in effetti non lo è. Una coppia più giovane prende in carico la situazione, contatta i figli dei due anziani, sostiene il marito e si interessa delle condizioni della moglie. Buoni samaritani di oggi che non passano oltre avendo incontrato sul proprio cammino persone sconosciute fino a un momento prima. Così è stato per tutti quelli che eravamo nella chiesetta: non ci conoscevamo, ma ci siamo sentiti comunità, all’improvviso, tutti coinvolti in un’operazione di prossimità fatta di sguardi, di preghiere, di silenzio, di aiuto a stare calmi.

E quando usciamo dalla chiesa, con l’ambulanza ancora lì e i medici impegnati nelle operazioni di rito, ci si avvicina, con discrezione. La nostra coppia fornisce le informazioni sullo stato dell’arte: la situazione non è troppo grave ed è sotto controllo. Incrocio gli occhi lucidi di lui e li ringrazio per quanto stanno facendo.

Anche in una grande città, non di rado anonima, il dolore ha creato la comunità. Forse, mi son detta, anche per questo i terremotati preferiscono rimanere insieme alla loro gente sotto le tende, piuttosto che disperdersi in alberghi anonimi anche se in condizioni più confortevoli. Per un senso di comunità, appunto.

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