Quale speranza per Hong Kong?

La repressione del governo cinese in violazione della Dichiarazione congiunta sino-britannica. Il ruolo di Martin Lee, l'82enne fondatore del primo partito a favore della democrazia di Hong Kong
Hong Kong: persone in coda per acquistare l'ultima copia del giornale Apple Daily , chiuso dal regime ( AP Photo/Vincent Yu)

La chiusura dell’Apple Daily è arrivata come una doccia fredda ma potremmo anche dire presagita da tempo, arriva mentre le autorità reprimono il dissenso dopo mesi di proteste antigovernative che nel 2019 avevano visto moltissimi cittadini della ex colonia britannica scendere nelle strade in protesta per i cambiamenti politici troppo repentini che si sono susseguiti negli anni, ma che avevano raggiunto il culmine con la proposta della cosiddetta legge sull’estradizione.

L’annuncio della chiusura del quotidiano, ha coinciso anche con l’inizio del primo processo ai sensi della Legge sulla Sicurezza Nazionale (LSN) imposta dal governo centrale cinese il 30 giugno 2020.

L’Apple Daily (cinese: 蘋果日報) è un giornale in stile tabloid pubblicato a Hong Kong dal 1995 al 2021. Fondato da Jimmy Lai, era uno dei giornali in lingua cinese più venduti nella città.

Il giornale ha cessato di funzionare dopo che l’unità di sicurezza nazionale della polizia di Hong Kong ha arrestato i dirigenti dell’azienda il 17 giugno 2021 per presunta violazione della legge sulla sicurezza nazionale, congelando i beni dell’azienda e di Jimmy Lai. A causa del congelamento dei beni, l’Apple Daily non è stato più in grado di pagare gli stipendi e le bollette dell’elettricità e ha dovuto interrompere le operazioni.

L’ultima edizione cartacea è quella pubblicata il 24 giugno.

Questo fatto può venir letto con preoccupazione circa l’erosione dei diritti primari sanciti dalla legge fondamentale di Hong Kong (Basic Law), un decreto legislativo della Repubblica Popolare Cinese che funge di fatto da mini-costituzione della Regione amministrativa speciale di Hong Kong o S.A.R (Special Administration Region).

La legge fondamentale è stata emanata ai sensi della Costituzione della Repubblica Popolare Cinese per attuare la Dichiarazione congiunta sino-britannica e stabilire sulla base della dichiarazione le politiche di base della Cina su Hong Kong, incluso il principio “un paese, due sistemi” il cosiddetto “one country, two systems” in modo tale che l’autorità governativa e il sistema economico praticati nella Cina continentale non siano estesi ad Hong Kong fino al 2047 e cioè 50 anni dopo la stipula della Dichiarazione avvenuta nel 1997.

Nel capitolo III della legge fondamentale si trattano i diritti e i doveri dei residenti di Hong Kong e si citano tra le altre cose, la libertà di parola, di stampa e pubblicazione, la libertà di associazione, di riunione, manifestazione e di comunicazione, libertà di coscienza, credo religioso, di matrimonio nonché il diritto e la libertà di formare e aderire a sindacati e di scioperare.

 

Hong Kong: manifestazione contro la repressione cinese (AP Photo/Vincent Yu, File)

 

Uno sguardo più da vicino agli arresti condotti dal National Security Department (NSD) della polizia di Hong Kong, sotto il pretesto della Legge della Sicurezza, indica che dal primo luglio 2020 a tutt’oggi quasi 100 individui sono stati detenuti sotto accusa di una serie di crimini anche non direttamente coperti dalla NSL. Non sembrano quindi giustificati come risposta ad una reale minaccia alla sicurezza di stato. La serie di arresti rivela inoltre che l’intento delle autorità ha obiettivi precisi: mira a limitare certe forme di discorso politico, a controllare i contatti dei pro-democratici di Hong Kong con l’estero e porre sotto controllo tutti i politici e attivisti dell’opposizione.

Negli anni recenti la gente di Hong Kong ha sentito disattesi, da parte del Governo, tali diritti e tutto ciò ha generato una certa sfiducia di fondo, un timore per il futuro soprattutto nelle giovani generazioni dei millenial, ma anche in giovani famiglie che decidono spesso di emigrare all’estero non solo per l’istruzione dei figli, ma anche per il loro futuro, ciò con un conseguente impoverimento della classe professionale e del motore giovane.

C’è chi ritiene che le cose più preziose di Hong Kong, i valori fondamentali di libertà e democrazia, stiano svanendo nel tempo e che il governo centrale imponendo la legge sulla sicurezza nazionale abbia violato i termini della Dichiarazione congiunta sino-britannica. Con l’entrata in vigore della legge si è ridotto infatti lo spazio per esprimere opinioni diverse.

Quale quindi il futuro della città-stato come spesso veniva definita Hong Kong alle fine degli anni ‘90?

Non posso non pensare ad una figura emblematica della storia di Hong Kong, chiamato da qualcuno il “padre della democrazia”, uno dei politici più popolari che ha contribuito alla stesura della mini-Costituzione che sancisce le preziose libertà della città. Martin Lee, l’82enne fondatore del primo partito a favore della democrazia di Hong Kong, il cui equilibrio, che ha sempre caratterizzato la sua carriera, ha recentemente iniziato ad incrinarsi. Nell’ aprile scorso Lee è stato arrestato e accusato per la prima volta di attivismo politico e di aver partecipato a manifestazioni non autorizzate. Se condannato, rischia fino a cinque anni di carcere.

Il suo arresto segna un’impasse senza ritorno e ci si può chiedere cosa possa succedere se vengono arrestati i moderati e i sostenitori di un dialogo piuttosto che di uno scontro.

L’idealismo del Sig. Lee è sempre stato radicale, strenuo difensore di “un paese, due sistemi”, nonostante le sue divergenze politiche con il sistema e la sua opposizione al Partito Comunista, si è sempre considerato cinese con il desiderio solo di salvaguardare i diritti della sua città.

Nato a Hong Kong e educato in Gran Bretagna, Mr. Lee incarna la città come ha sempre cercato di presentarsi: raffinata, di successo, un “hub” economico internazionale a cavallo tra Oriente e Occidente. Prima di entrare in politica, è stato presidente dell’Associazione degli avvocati di Hong Kong, cattolico devoto che passa con facilità da una conversazione in mandarino, a una in cantonese o inglese.

Ha ereditato la sua miscela di pragmatismo e idealismo da suo padre, tenente dell’esercito cinese prima di fuggire a Hong Kong dopo la presa del potere comunista nel 1949. Lee aveva studiato con Zhou Enlai, capo di governo della Repubblica Popolare Cinese dal 1949 fino alla sua morte avvenuta nel 1976. Sebbene i due uomini avessero forti differenze politiche, sono rimasti sempre cordiali nei loro rapporti.

La fede nel dialogo ha sempre guidato il sig. Lee ed è diventata una delle sue principali forme di difesa. Poiché il movimento democratico nato attorno a lui è cresciuto diventando sempre più combattivo fino a giustificare l’uso della violenza, il signor Lee ha cominciato a prenderne le distanze e non ha esitato a proclamare che la violenza fosse controproducente al fine del dialogo e ha fatto pressioni per rinnovare l’idealismo che aveva animato da sempre tale movimento.

Secondo Martin lee, l’abbandono dei negoziati offre al governo centrale la scusa di reprimere e ciò significa cadere in una trappola. Egli ha dedicato la sua vita a portare la democrazia nel territorio cinese lavorando all’interno del sistema. Ora è sotto tiro da entrambe le parti, dai giovani attivisti millenial considerato inefficace e senza impatto e dai pro governo un traditore. Sarà davvero così?

«Quando fallisci, non arrenderti, e poi fai la prossima cosa per realizzarlo. Se fallisci di nuovo, continua».

 

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