Prime scelte del Conte 2 in economia

In attesa della redazione definitiva della legge di stabilità, i numeri del documento di programmazione offrono la visione di una strategia adottata dal nuovo esecutivo. Intervista all’economista Massimo D’Antoni dell’Università di Siena.

Il Conte 2 ha avuto un tempo assai limitato per elaborare la Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza (Nadef), lo strumento di programmazione deputato ad indicare la strategia economica e di finanza pubblica nel tempo medio. Si annuncia una manovra da 29 miliardi di euro con numeri da interpretare. L’obiettivo immediato era certamente quello di impedire l’aumento dell’Iva per evitare l’insorgere di effetti depressivi per l’intera economia e le tasche dei ceti sociali medio bassi, ma sembra arduo cogliere il reale “cambio di passo” annunciato dal nuovo esecutivo che vede assieme Pd e M5S, oltre a Leu e alla neonata Italia Viva.

Per timore di non sforare i vincoli di bilancio, come ha fatto osservare Gustavo Piga, professore di economia politica presso la facoltà di Economia dell’Università Roma 2, continua a mancare un vero piano di investimenti pubblici, che sarebbe la vera leva innovativa di una nuova politica economica. Abbiamo chiesto il parere al professor Massimo D’Antoni, professore di Scienza delle finanze presso il dipartimento di Economia politica e statistica dell’Università di Siena.

Che giudizio si sente di poter dare sul documento approvato dal Consiglio dei ministri?

Il Nadef, che come sappiamo offre il quadro in cui si muoverà la legge di stabilità, conferma ciò che era emerso alla formazione del nuovo governo. Se da un lato il programma poneva obiettivi ambiziosi, dall’altro metteva come premessa il rispetto dei parametri e degli impegni presi con l’Unione europea. È vero che Bruxelles sembra ben disposta verso il nuovo governo e quindi, se accetterà la Nota, potrà concedere un buon margine di flessibilità nei conti pubblici, superando la rigidità delle raccomandazioni espresse dall’Ecofin nel luglio scorso che chiedevano una riduzione della spesa pubblica. Tutta questa flessibilità dei conti sarà, tuttavia, consumata dalla neutralizzazione dell’aumento dell’Iva, lasciando poche risorse per misure significative che possano portare a un rilancio dell’economia.

Cosa ne pensa dei 50 miliardi di euro dedicati all’attuazione del new green deal nei prossimi 15 anni?

Le cifre di solito si riferiscono al singolo anno. Quando si comincia a far riferimento a orizzonti più lunghi spesso è per non dare a vedere che si tratta, in realtà, di cifre modeste. Di fatto parliamo di una media di 3 miliardi all’anno. Decisamente molto poco.

Come si può leggere la misura annunciata che prevede la rimodulazione del pagamento del ticket in base al reddito?

Già in alcune regioni abbiamo questo meccanismo della spesa del ticket commisurata al reddito. Si è indotti a credere che si tratti di una scelta redistributiva, ma, nei fatti, incentiva da parte di chi se lo può permettere il ricorso alla sanità privata. Alla lunga si produce l’effetto di creare un sistema di welfare che non è più universale, secondo i criteri del servizio sanitario nazionale introdotto nel 1978, ma qualcosa che, essendo riservato solo ai più poveri, si impoverisce in termini di qualità e risorse. La selettività delle cure in base al reddito è un ulteriore passo verso lo smantellamento di un servizio sanitario pubblico equo e rivolto a tutti.

In compenso si è ridotto notevolmente il piano dei proventi da privatizzazioni che il precedente governo aveva stimato a 18 miliardi di euro…

Le privatizzazioni per fare cassa non hanno mai portato bene al Paese. Non escludo che in alcuni casi la privatizzazione di un’impresa gestita dallo Stato possa essere una scelta ragionevole, ma la vendita per fare cassa non è mai vantaggiosa, perché spesso si risolve in una svendita che porta a entrate immediate, ma a un cattivo affare nel lungo periodo. Dunque la scelta di correggere quanto previsto in precedenza la valuto positivamente, anche in considerazione del fatto che gli introiti previsti erano probabilmente esagerati.

In questo senso cosa si può dire dei 7 miliardi previsti dal recupero dell’evasione?

A proposito di esagerazioni… Leggere quella cifra, corrispondente allo 0,4% del Pil, mi ha sorpreso. Peraltro, forse mi sbaglio, ma mi risultava che non fosse ammessa indicare come copertura le previsioni di recupero dall’evasione, visto che si tratta di entrate molto incerte e di difficile previsione. Sono curioso di vedere se a Bruxelles questa cosa sarà accettata.

Sono invece esigue, 2,7 miliardi di euro, le risorse per la riduzione del cuneo fiscale. Che effetto potranno avere?

Un intervento modesto che parte, inoltre, dall’idea che il problema della nostra economia sia l’eccessivo costo del lavoro, mentre ciò che manca è la domanda, che potrebbe essere rilanciata con un coerente piano di investimenti pubblici. Mettere soldi sulla riduzione del cuneo fiscale non è stata una soluzione efficace in passato e non ha nemmeno pagato in termini politici (penso al governo Prodi nel 2008).

C’è da dire che il governo ha dovuto agire in tempi molto rapidi

È vero e questa è certamente un’attenuante. Vedo però anche l’effetto di due linee politiche non ben amalgamate, con partiti finora su posizioni opposte. Dobbiamo anche considerare il fatto che il Pd si trova in un percorso di ridefinizione della propria visione economica che, dopo la fuoriuscita della componente renziana, resta ancora incerta. Teniamo conto che stiamo parlando, comunque, di provvedimenti ancora solo enunciati. Nella Nota di aggiornamento al Def ci sono solo i titoli dei provvedimenti e i saldi. Tra 2 settimane avremo un quadro più completo con il Documento programmatico di bilancio e subito dopo potremo formulare valutazioni più precise leggendo il testo della Legge di stabilità.   

 

 

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