Pregiudizi religiosi, eterni veleni

I diari apologetici di Minucio Felice, editi da Città Nuova, analizzati nella recensione di Giorgio Montefoschi per il Corriere. Una testimonianza del passato che legge anche il presente della cristianità
Copertina dell'Octavius

I diari di un avvocato di Roma del III secolo, sono giunti fino a noi commentando la recente religione che si stava imponendo nella capitale dell'Impero. L'avvocato è Minucio Felice e questi diari sono in realtà dei dialoghi tra due cristiani convertiti, lui, Ottavio, e un pagano convinto, Cecilio. A fare da cornice a questo quadro una spiaggia. Siamo agli inizi del III secolo, ancora lontani dai tempi delle grandi persecuzioni dei cristiani, ma il ricordo di quelle arene erano ancora vivissimo nelle comunità.

Anche se oggi non ci sono leoni a sbranare gli adepti cristiani, pregiudizi e persecuzioni non mancano neppure nel XX1 secolo. E' solo di qualche giorno fa la notizia della truce uccisione di cristiani nigeriani riuniti in preghiera. Mario Spinelli, per Città Nuova editrice, ha curato l'edizione italiana di Octavius – Atti e passioni dei martiri africani di Minucio Felice (vol. 8) recensita per il Corriere della sera da Giorgio Montefoschi, a sottolineare l'attualità e i legami con il passato. Ve la proponiamo integralmente.


«In un dolce pomeriggio autunnale che possiamo presumibilmente collocare agli inizi del terzo secolo dopo Cristo,
tre amici passeggiano sul litorale di Ostia: il cielo è sereno; una lieve brezza increspa le onde; la sabbia nella quale Il piede affonda è morbida; il gioco che alcuni bimbetti fanno lanciando ciottoli levigati sulla superficie del mare rallegra la vista. Siamo all'inizio dell'Octavius (Città Nuova, a cura di Mario Spinelli),d uno dei testi più conosciuti della letteratura cristiana in latino, scritto da Minucio Felice (sulla cui vita non si sa altro che veniva dall'Africa, era avvocato a Roma e, convertitosi al cristianesimo, possedeva una notevole cultura classica).
 
«I tre uomini sono: l'autore; un assistente, Ottavio, pure lui convertito al cristianesimo e un comune amico, Cecilio, pagano convinto.
La scena idillica che fa da sfondo non deve ingannare. Presto assisteremo a una contrapposizione dialogata (forma insolita nell'apologetica antica, derivata da Platone e Cicerone, di cui Minucio Felice era grande ammiratore) nella quale argomento del contendere – i cristiani – sarà trattato con toni sprezzanti e derisori, di una violenza inaudita, dal pagano Cecilio, quindi controbattuto dal convertito Ottavio con forza e decisione che sembrano temprate nell’acciaio.
Sorpreso da questo contrasto fra ambientazione morbida e pesantezza delle parole, il lettore non può non riflettere sull’infinita distanza, generata dall’odio e dai pregiudizi, che può separare due mondi vicini o addirittura mescolati; nonché sugli esiti di questa incomprensione più alta e impenetrabile di qualsiasi muro. Vale a dire: l'annientamento fisico di chi la pensa diversamente e dunque è considerato un avversario.
 
«L'epoca in cui si svolge l'Octavius era di relativa pace religiosa; dovevano ancora arrivare le persecuzioni terribili di Aureliano, Valeriano e Decio: ma i ricordi di quelle recenti, le immagini delle torture e del sangue dei martiri sulla polvere delle arene erano vivissime nella comunità cristiana che ancora doveva nascondersi. Alla fine, il frutto dell'incomprensione religiosa era il sangue. Come oggi.

Le accuse ai cristiani, coprendo la gamma dei pregiudizi pagani nei loro confronti, offrono uno spaccato di dove può giungere l'ignoranza. Per i romani pagani dell’Impero, i cristiani erano congiurati che si radunavano nascostamente per celebrare riti segreti e osceni; adoravano un crocifisso con la testa di un asino; si accoppiavano anche incestuosamente dopo i banchetti e baciavano i genitali dei loro ministri; battezzavano gli adepti con strane cerimonie in cui bambini ricoperti di farro perdevano la vita; predicavano la fine dell’Universo. Onoravano un delinquente: un uomo punito con la pena capitale per i suoi misfatti; credevano nella resurrezione del corpo dopo la morte; infine, adoravano – al pari di quella gentaglia che erano gli ebrei – un Dio unico, solitario, appartato, inaccessibile, che certamente non avrebbe potuto accorgersi di nessuna delle loro esistenze.
 
«Un quadro sconvolgente. Nei confronti del quale, nell'ottica emotiva di chi legge, le tesi di Ottavio, pure animate da ragioni inconfutabili e da una fede incrollabile (e tutte centrate sul Padre, non sul Figlio), passano quasi in secondo piano. Tuttavia, sarà lui, in conclusione del dialogo (senza neppure bisogno del giudizio di Minucio Felice) ad averla vinta. E, dopo aver smontato il castello delle accuse una per una, saprà dire parole bellissime. Dio esiste perché l'universo non può non avere un creatore che abbia disposto il suo ordine perfetto. E inconoscibile dalla carne, ma non dall'anima dell'uomo. È inaccessibile, ma il suo raggio,proprio come il raggio di Plotino, raggiunge ogni angolo del mondo. Non è lontano: è vicinissimo, perché è dentro di noi; che, infatti, lo sentiamo senza vederlo – anzi, tanto più lo sentiamo quanto più pensiamo di essere nelle tenebre dal momento che Dio è proprio in quelle tenebre. Certamente lo raggiungeremo nella nostra futura vita perché, se già una volta ci ha plasmati dal nulla, dal nulla ci plasmerà una seconda volta e per sempre».

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