Polonia e Francia: alle urne con la mascherina

Si è votato per la prima volta in Europa dopo la crisi del coronavirus. I risultati appaiono legati ai contesti locali, ma con un elemento comune: è fondamentale una cittadinanza attenta al bene comune e meno agli interessi di parte. Non ci sono vincitori univoci dopo la crisi
AP Photo/Thibault Camus

In Francia i Verdi hanno trionfato al secondo turno delle elezioni municipali svoltesi il 28 giugno, in oltre 4 mila comuni francesi, 3 mesi dopo il primo turno (15 marzo), sapendo che normalmente le due tornate si susseguono a due settimane di distanza solamente. Il Covid-19 ha costretto i francesi ad allungare a dismisura questo lasso di tempo, il che non è poca cosa, visto che da tempo il sistema elettorale francese è imperniato su questa breve pausa di riflessione elettorale. Il partito ecologista “EuropeEcologie-Les Verts” ha vinto in molte delle principali città della Francia (Lione, Bordeaux, Marsiglia, Strasburgo, Poitiers), dando un segnale inequivocabile alla maggioranza di governo e, soprattutto, al presidente Macron.

Nel momento in cui l’intera Europa si sta leccando le ferite per la crisi da coronavirus, queste prime elezioni tenutesi in un Paese dell’Unione europea sembrano indicare che i temi della salvaguardia del pianeta, della salute e della vivibilità delle nostre città sono ormai al centro degli interessi delle popolazioni del Vecchio continente. Perde quindi terreno il partito di Macron, anche se la sconfitta non è uniforme. Ad esempio, il premier “intellettuale”, Edouard Philippe, ha conquistato il comune di Le Havre con il 59% dei voti. E a Parigi è stata confermata come sindaco Anne Hidalgo, con il 48% dei voti, che ha sconfitto le candidate di destra, l’ex ministro della giustizia di Sarkozy, di origine maghrebina, Rachida Dati, e Agnès Buzyn, ex ministro della Sanità di Macron. Male la destra di Marine Le Pen. Più di ogni altra fazione politica, però, a vincere è stata l’astensione, attorno al 60% dei votanti. Paura o disaffezione? Probabilmente entrambe le cose.

AP Photo/Beata Zawrzal
AP Photo/Beata Zawrzal

La Polonia, invece, si cimentava con le presidenziali. Non c’è stato vincitore, e così si dovrà tornare alle urne il 12 luglio per scegliere il presidente dei prossimi 5 anni tra i due concorrenti più votati: il capo di Stato in carica, Andrzej Duda, sostenuto dal governo e dalla Chiesa, o l’attuale sindaco di Varsavia, Rafal Trzaskowski, capofila dell’opposizione e leader dei liberali di Piattaforma Civica. Duda non è quindi riuscito a conquistare la maggioranza assoluta dei consensi, come alcuni osservatori ipotizzavano. Il divario è netto, circa 10 punti percentuali, ma il risultato di Duda non è tale da assicurargli una rielezione sul velluto. Tutt’altro. Da tempo la Polonia è divisa in tre parti, che più o meno corrispondono a un terzo dell’elettorato: i “conservatori” legati alla tradizione cattolica polacca, i “liberali” invece di matrice socialdemocratica e laica, e un terzo di indecisi, che di solito non vota. La vittoria dell’una o dell’altra parte dipende da quelle piccole percentuali di votanti che si spostano dai conservatori ai liberali, a seconda delle contingenze, della congiuntura economica e degli eventi che via via si susseguono. Così è possibile che ora Trzaskowski possa ricevere l’appoggio del giornalista televisivo, cattolico e progressista, Szymon Holownia, che ha avuto un buon 13% di preferenze. Incerto sul da farsi è anche Wladyslaw Kosiniak Kamysz, del Partito dei contadini, che ha solo il 2,6% dei voti ma che, viste le cifre globali, potrebbe addirittura diventare decisivo per il risultato finale.

Si è votato, quindi, e questa è già una buona notizia. Sia in Francia che in Polonia si è votato con mascherine e guanti, con dispenser di gel e alcol sparsi ovunque. Un buon segno che la vita sociale e politica non si ferma, e che bisogna ricominciare a partecipare come cittadini alla vita pubblica e alle sue scelte. È questo, a ben guardare, il dato più significativo di queste prime elezioni in Paesi europei dopo il Covid-19. Si è votato, tra l’altro, in due Paesi-simbolo: uno è il simbolo della parte occidentale del continente, in cui la “laicità è religione”, mentre l’altro un Paese dell’Europa centro-orientale in cui invece la “confessionalità diventa laicità”.

Al di là dei risultati, che debbono per forza di cose essere confermati nelle loro tendenze di fondo da altre elezioni che seguiranno nei prossimi mesi in altri Paesi, le immagini dei votanti in mascherina e guanti sono un segno che la nostra vita in società è mutata dopo il coronavirus, ma che il bene comune è più che mai al centro dell’interesse dei cittadini. Il bene comune, forse un po’ meno le ambizioni dei singoli politici.

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