Più spese e meno tasse?

Forse conviene usare un po’ di buon senso davanti alle promesse facili dei politici (con poca esperienza)

«Sono indignato! Il direttore della filiale mi ha intimato di non pescare più dal conto corrente perché dice che sono già oltre i limiti del fido. È arrivato perfino a mettere il naso su quella spesa che vorrei fare per rinnovare l’arredamento, suggerendomi di rinviarla. Ma come si permette? A casa mia comando io, non quel banchiere da strapazzo!»

Penso che a leggere un discorso come questo pochi di noi si schiererebbero dalla parte di chi pretende di decidere lui con i soldi degli altri. Ma lo stesso discorso del cliente della banca – che a casa nostra comandiamo noi e quindi gli altri tacciano –, lo fa qualche leader politico che promette più spese e meno tasse. E questa volta, però, un gran numero di italiani approva entusiasticamente il ragionamento.

Diamo un’occhiata ai fatti. Il “limite del fido” concordato tra i partner europei per il debito pubblico è il 60% del Prodotto Interno Lordo. Non siamo i soli ad essere al di là del limite, soprattutto dopo la grande crisi avviatasi nel 2008, tant’è vero che la media tra i Paesi dell’Unione è più dell’80%. Ma noi italiani siamo oltre il 130%! Non vi pare che chi oltralpe ha affidato i suoi soldi alla Repubblica italiana qualche ragione per dire la sua ce l’avrebbe, e così anche quelle istituzioni che devono assicurare un ordinato andamento dell’attività finanziaria nel continente?

«A mio fratello comprate tutto quello che vuole e a me niente! Non ne posso più. Io me ne vado via da questa famiglia. Mi trovo un lavoro e vedrete che starò meglio senza di voi».

Di fronte a questo ragionamento di un quattordicenne viene spontaneo un sorrisetto di commiserazione. Ingenuo ragazzo! Crede di fare un affare, di andare a stare meglio! Ha pensato chi lo aiuterà a prendere un titolo di studio necessario per poi avere uno stipendio decente, chi si preoccuperà della sua salute o magari anche chi gli organizzerà la festa del compleanno o lo porterà in vacanza d’estate?

Certe affermazioni dei nostri politici sull’uscita dalla famiglia europea assomigliano molto alle affermazioni del nostro irrequieto adolescente. Eppure vengono accolte con soddisfazione dai cittadini come espressioni di adulta fierezza.

Non mi male interpretate! Pensare che convenga uscire dall’Unione Europa è una posizione legittima e rispettabile, e lo è tanto più quanto più chi la esprime sa di cosa sta parlando. Il problema è che spesso quei cittadini non hanno la minima idea di cosa significhi in realtà “stare in Europa”. E quei politici, che pure qualcosa di più dovrebbero sapere, non hanno nessuna intenzione di offrire loro un ragionato esame della questione.

Unione Europea non significa solo che qualcuno lassù a Bruxelles si permette di dire la sua sulle nostre pensioni o quando giochiamo con le “quote latte”: significa frontiere aperte per noi quando viaggiamo, per i turisti che affollano le nostre spiagge e anche per le nostre imprese che esportano nell’Unione per oltre 20 miliardi al mese (un miliardo in più di quanto importiamo); significa protezione contro lo strapotere delle grandi imprese (pensate alle tariffe per l’estero che le società telefoniche sono state costrette ad allineare a quelle interne); significa disporre di un passaporto rispettato in tutto il mondo; significa – fatto unico nella storia europea – 70 anni senza guerra tra gli stati membri.

Si potrebbe continuare, con vantaggi e svantaggi. Ma, come per l’appartenenza del ragazzo alla sua famiglia, le cose da considerare sono ben più delle sole scarpe. Stanno a dimostrarlo le migliaia di regolamenti e accordi che la Gran Bretagna ora deve rivedere per effetto dell’uscita dall’Unione. Una complessità che molti elettori britannici hanno scoperto con sorpresa solo dopo aver votato “alla garibaldina” sulla base dei due o tre slogan più efficaci della campagna referendaria.

Pochi pazienti si affiderebbero alla promesse di medici che non hanno mai messo le mani su un malato, promesse che spesso sono tanto più estreme quanto meno chi le fa conosce a fondo le questioni. Eppure in politica, dove le cose non sono meno complesse e serie, non ci comportiamo nello stesso modo. E non ci scandalizza neanche che dei leader del tutto privi essi stessi di esperienza di governo, nemmeno a livello locale, si propongano di affidare a loro volta il bastone del comando a qualcuno con ancor meno esperienza di loro.

Anche qui non vorrei essere frainteso. Il ricambio della classe politica è fisiologico e anche la nascita e crescita di nuovi partiti o movimenti che prendano il posto di quelli storici è una caratteristica della democrazia (per inciso, quella italiana non ha mancato di apertura a questo riguardo). Se pensiamo al grande rinnovamento delle tecniche mediche e chirurgiche negli ultimi decenni, nei casi migliori è avvenuto con la benedizione dei medici più esperti (= anziani), ma in tutti i casi è passato per i medici più giovani. Giovani sì, ma – attenzione! – passati attraverso lunghi studi e anni di gavetta, magari in qualche centro di eccellenza estero.

In conclusione, ragioniamoci sulle cose delle politica e mettiamoci tutto il buon senso di cui siamo capaci, e questo sia in tempo di elezioni, sia quando poi si tratta di mantenere il contatto con gli eletti. Questo potrà evitarci molte brutte sorprese.

 

 

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