Più di una semplice partita

La sfida tra Serbia e Croazia, giocata venerdì a Zagabria, trascende il solo significato sportivo. Dal punto di vista  agonistico, sul campo si è assistito a un successo della Croazia. Ma, proprio dal campo, sono arrivati anche alcuni significativi gesti di “riconciliazione”
Croazia-Serbia

Nel fine settimana calcistico dedicato alle partite delle nazionali, si sono giocati diversi incontri in vista dei mondiali che si disputeranno il prossimo anno in Brasile. Seppur priva di star internazionali di prima grandezza, la partita più attesa si è giocata probabilmente in Croazia, e più precisamente a Zagabria, dove era in programma il match tra la formazione di casa e la Serbia. «Sarà solo una partita di calcio», aveva affermato alla vigilia il capitano dei croati, Dario Srna. Ma, a ben guardare, quella andata in scena venerdì sera non è stata, e non poteva essere, solo una partita di calcio.

Da quando i rispettivi Paesi sono diventati indipendenti, infatti, le due nazionali balcaniche non si erano mai incontrate. Si è trattato della prima partita, dunque, dalla fine della tremenda guerra civile tra serbi e croati che portò alla disgregazione della vecchia Jugoslavia. Un conflitto il cui preludio, secondo molti osservatori, va ricercato nel precedente calcistico datato 13 maggio 1990. «Qui cominciò la guerra», recita oggi un cartello all’entrata dello stadio di Zagabria, che evoca il ricordo di quanto avvenuto ventitré anni fa. Quel giorno, proprio nello stadio Maksimir, si dovevano incontrare Dinamo Zagabria e Stella Rossa Belgrado, ma quella partita, in realtà, non si è mai giocata.

Le squadre scesero effettivamente in campo, ma gli scontri sugli spalti tra le diverse tifoserie costrinsero la polizia, a maggioranza serba, ad un violento intervento sui tifosi croati. Scontri che si trasferirono poi fuori dallo stadio, per le vie della città, e che obbligarono i giocatori della Stella Rossa a barricarsi negli spogliatoi da cui poterono scappare solo grazie all’uso di un elicottero militare. Quel giorno, nell’ex Jugoslavia, non lo dimentica nessuno. Sul campo vi furono una sessantina di feriti, ed è ancora viva nel ricordo di chi assistette a quel match l’immagine di un giocatore della Dinamo che prese a calci un poliziotto. Si trattava di un giovanissimo Zvonomir Boban, centrocampista che di lì a qualche mese si trasferì a giocare nel Milan.

Certo, il tempo ha in parte raffreddato la rivalità tra i due Paesi, e in questi anni tante cose sono cambiate, soprattutto da un punto di vista geo-politico. La Croazia, ad esempio, entrerà presto a far parte dell’Unione europea, mentre la Serbia è candidata a entrarci in futuro. Dopo il disgelo degli ultimi anni, però, le relazioni tra i governi di Zagabria e Belgrado vivono adesso un momento difficile anche a causa delle “infelici” dichiarazioni di alcuni esponenti politici dei due fronti che, schiacciati dal contesto di crisi e di recessione che caratterizza Serbia e Croazia (il tasso di disoccupazione nei due Paesi oscilla tra il 20 ed il 25 percento), non hanno trovato di meglio da fare che spostare l’attenzione sui “vecchi nemici”.

In una toccante intervista concessa qualche giorno prima della partita alla Gazzetta dello Sport, Sinisa Mihajlovic ha spiegato che quando ha accettato il ruolo di allenatore della nazionale serba l’ha fatto anche perché sapeva che sulla strada per i Mondiali del 2014 avrebbe incontrato proprio la Croazia. Voleva incontrare i croati non per vendicarsi, ma per lanciare un segnale ben diverso. «Questa partita non è la continuazione di una guerra. Quella vera, maledetta e sporca, l'abbiamo già vissuta e ne portiamo ancora addosso ferite e cicatrici. Questa è solo una gara sentita, calda, importante: per la classifica e per la crescita dei miei ragazzi. Il mondo ci osserva. È arrivato il momento di dimenticare il passato, tendere la mano e guardare avanti».

Questa volta, fortunatamente, alla fine la partita si è giocata, e anche in un clima che possiamo definire accettabile. Certo, per prevenire possibili incidenti è stata vietata la presenza di tifosi ospiti (e lo stesso avverrà nella partita di ritorno in programma a Belgrado il prossimo 6 settembre), e la città è stata in parte blindata con 1.500 poliziotti in tenuta antisommossa per paura di possibili infiltrazioni degli ultrà, pericolosi estremisti ultranazionalisti. Certo, l’invito del presidente della Federcalcio croata, Davor Sukor, che alla vigilia aveva dichiarato: «Vorrei avere la bacchetta magica e impedire che sia fischiato l’inno serbo», è stato disatteso. Ma in fondo c’era chi temeva che le cose andassero molto peggio.

Dal punto di vista strettamente agonistico, sul campo si è assistito a un successo della Croazia (2-0), che con questa vittoria fa un deciso passo in avanti verso la qualificazione ai mondiali brasiliani del prossimo anno. Ma, proprio dal campo, sono arrivati anche alcuni significativi gesti di “riconciliazione”, come l’abbraccio tra i due tecnici ad inizio match o l’applauso dei giocatori serbi durante l’inno croato. «Vi prego, è solo sport, nessuno dimentichi il rispetto dovuto all’avversario», aveva dichiarato il presidente della repubblica croata, Ivo Josipovic. «Se nessuno a fine partita sarà espulso, vorrà dire che avremo vinto entrambi», aveva affermato invece il serbo Mihajlovic. Beh, tutto sommato dai protagonisti di questa sfida qualche piccolo seme di riavvicinamento è stato effettivamente piantato. Non sarà ancora molto, ma è pur sempre un buon inizio. Per ricominciare, proprio dal luogo dove tutto era cominciato.

I più letti della settimana

Mediterraneo di fraternità

La forte fede degli atei

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons