Piovre mafiose e reti sociali a Roma

Intervista ad Antonio Turri, referente di Libera nel Lazio, a proposito della presenza di organizzazioni criminali nel territorio della Capitale
antonio turri

Troppi episodi di cronaca a Roma e nel Lazio vengono ricondotti alla presenza del fenomeno mafioso che, disponendo di grandi capitali da riciclare, può operare nascosto nelle periferie – anche se predilige la presenza nei quartieri centrali, come i locali sequestrati a due passi dal Parlamento o nella famosa via Veneto. A giugno del 2011 si è reso necessario siglare formalmente un patto tra sindaco, prefetto e presidente della Camera di commercio contro le infiltrazioni della criminalità organizzata nei settori del commercio e delle attività imprenditoriali. Ma senza una partecipazione diretta della società civile la battaglia sembra difficile da condurre. Intervistiamo perciò Antonio Turri, referente regionale di  “Libera. Associazioni, nomi e numeri contro le mafie”.

 

 

Come interpretare l’aumento di episodi criminali a Roma, tra i quali un numero preoccupante di omicidi, legati al fenomeno mafioso?

 

«È dalla fine degli anni Settanta che Roma e il Lazio sono interessati da una costante penetrazione mafiosa. Dapprima le mafie si sono infiltrate negli affari criminali e nel riciclaggio del denaro sporco, poi hanno perseguito una strategia di radicamento subdola, senza far troppo rumore. Negli ultimi anni le mafie a Roma e nel resto del Paese contaminano le criminalità autoctone e pezzi dell’economia legale, grazie anche all’immensa consistenza dei capitali di cui dispongono. Il Lazio, in questa strategia, costituisce un laboratorio. La pericolosità di questa nuova aggregazione criminale, a quanto pare, non è stata appieno compresa. Secondo Libera è in atto in questo momento un tentativo violento per stabilire le gerarchie criminali nella Capitale. Attraverso gli omicidi di elementi della criminalità autoctona romana e laziale si manda un messaggio di forza nei confronti di chi è restio a sottostare ai nuovi gruppi vincenti, composti da mafiosi importati da altre regioni, criminalità autoctona collaborante e colletti bianchi che fanno parte di quella grande holding criminale che definiamo “Quinta mafia”». 

 

 

Ritenete davvero che produzioni televisive di grande successo come “Romanzo criminale”, evocando il fascino dell’eroe negativo, siano all’origine di un clima che finisce per favorire l’accettazione della mentalità mafiosa?

 

«Sì, il rischio di mandare un messaggio sbagliato sulle figure criminali protagoniste della violenza e della storia dei gruppi criminali romani, come nel caso della banda della Magliana, o peggio dei boss delle mafie tradizionali, esiste. Le magliette che si vendono nei negozi al centro di Roma con l’effige dei boss della Magliana devono lasciar riflettere sul pericolo di una non corretta comprensione del fenomeno mafioso e criminale in genere che passa tra i giovani, in particolare quelli meno attrezzati dal punto di vista culturale».

 

 

Gli attentati dimostrativi del 1993, che coinvolsero anche la basilica del Laterano, mostrarono una sorprendente capacità operativa a Roma. La banda della Magliana, organizzazione al centro di molte trame della storia italiana recente, è davvero scomparsa ?

 

«Ad ogni episodio di violenza, anche omicida, che avviene a Roma, si parla spesse volte dei protagonisti come ex della Magliana. La banda della Magliana non è morta, si è trasformata. O meglio, quello che rimane è stato inglobato nella “Quinta mafia”».

 

 

Quali altri segnali meno evidenti nel corpo sociale vanno tenuti sotto controllo?

 

«La mancanza di lavoro e il degrado del tessuto sociale, specie nelle grandi periferie di Roma, sono l’humus principale su cui attecchiscono le mafie e le illegalità. Le mafie danno come favori quello che spetta ai cittadini come diritto. I diritti si conquistano e non si acquistano al supermercato. Questo è il messaggio che deve passare, in particolare tra i giovani».

 

 

Oltre al fattore educativo quale altra azione ritenete urgente in questo momento storico su Roma e nel Lazio? Che tipo di presenza riesce ad esprimere la rete di Libera?

 

«Libera è presente da anni nel Lazio e a Roma, attraverso la rete delle centinaia di associazioni, scuole ed università che si impegnano sul fronte dell’educazione alla cittadinanza e per togliere il terreno sotto ai piedi a mafie e corruzione.  C’è bisogno del “morso del più”, come lo chiama don Luigi Ciotti. Nessuno, politica,istituzioni,associazioni, si deve sentire a posto. Tutti dobbiamo fare di più, per la democrazia e per la giustizia nel nostro Paese. E Libera, seppur con fatica e limiti, tenta ogni dì, 365 giorni all’anno, di esserci».

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