Perù, il presidente riuscirà a combattere la corruzione?

Il copione è sempre lo stesso: trasformare gli accusatori in accusati, i difensori del bene pubblico in imprudenti populisti, le denunce in attacchi provenienti dal potere di turno. Ma, intanto, anche il procuratore generale è stato implicato nella corruzione
Il presidebnte peruviano Martin Vizcarra

Lo scandalo in Perù e l’inchiesta per le sentenze negoziate e gli incarichi presso i tribunali ottenuti attraverso raccomandazioni di amici influenti avanza e ha bussato alla porta dell’ufficio del Procuratore generale, dopo aver fatto piazza pulita del Consiglio della magistratura, tutti i membri sono stati rimossi, e di vari giudici della Corte suprema. Le rivelazioni riproducono conversazioni imbarazzanti tra il Procuratore, Gonzalo Chávarry, e la rete denominata «colletti bianchi del porto», alludendo così agli accordi degli avvocati di narcotrafficanti, imprenditori e politici legati al porto del Callao, a pochi chilometri da Lima, con i massimi organi della giustizia. Ma lo scandalo arriva anche alle nomine di giudici e pubblici ministeri in varie regioni del Paese. Da varie parti, settori politici e della società civile si chiede la rinuncia di Chávarry che reagisce accusando oscuri nemici nel governo di turno.

Alla testa della rete sembra figurasse il giudice della Corte suprema, César Hinostroza, che avrebbe dovuto essere investigato da Chávarry. Ma l’ultimo audio di una conversazione tra i due inchioda il procuratore e rende palese perché abbia desistito dallo svolgere il suo dovere. Il procuratore ha prima negato e poi ammesso il colloquio. Ovviamente, lo ha fatto per il bene della Nazione. Ma è poi ormai chiaro a tutti un segreto di Pulcinella: per fare affari senza problemi era utile avere “santi in paradiso” in un incrocio di legami con personalità del potere giudiziario e della politica. A quanto pare, anche la rete dello spaccio di droga ha avuto facilitazioni a vari livelli.

Il presidente Martín Vizcarra è deciso ad andare avanti senza esitazioni per spazzare via il marcio di questa rete corrotta. Ma la sua iniziativa comincia a suscitare resistenze. Si vede che sta mettendo il dito sulla piaga. Gli si oppone principalmente Keiko Fujimori, leader di Fuerza popular, il partito della destra conservatrice (e figlia di Alberto Fujimori, ex dittatore condannato e scandalosamente beneficiato dall’indulto che ha cancellato la metà della pena inflittagli per delitti di lesa umanità). Keiko Fujimori controlla la maggioranza in Parlamento e si oppone al referendum proposto dal presidente per rivedere il meccanismo di selezione dei membri dello strategico Consiglio della magistratura. La Fujimori propone un sistema di designazioni simile all’attuale.

La cortina di fumo di Fuerza popular per mantenere lo statu quo è evidente: accusa Vizcarra di voler cavalcare la tigre del «populismo», sostiene che Chávarry deve rimanere al suo posto e propone una sua lettura della conversazione telefonica di questi con Hinostroza. Nicchia quando le ricordano che il giudice aveva chiuso un occhio e pure l’altro nella disamina dei rendiconti del suo partito, i cui numeri non quadrano, evidenziando un nuovo caso di riciclaggio di denaro.

Come spesso accade, quando si toccano i gangli più sensibili dei poteri corrotti, la reazione è quella di suscitare un polverone, trasformando accusatori in accusati, difensori del bene pubblico in imprudenti populisti, le denunce in attacchi personali. Vizcarra promette che non si fermerà nel lavoro di pulizia della politica e della giustizia. Lo appoggia il 74% dell’opinione pubblica.

 

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