Per una cultura della risurrezione

Nel mistero della Croce la Verità di Dio si manifesta nell'apice del Suo amore, è la porta per la Risurrezione e il segreto del cristianesimo.
Giuseppe Maria Zanghì

Credo che l’esame di coscienza che noi cristiani dobbiamo fare, nella luce del Cristo nella Trinità e delle grandi e dei grandispirituali, prima fra tutti e tutte Maria, la Madre di Dio, è il riconoscere che non siamo ancora riusciti, come corpo, come ecclesia,a dischiudere nel cuore del mondo la cultura del Risorto. E testimoniarla, con la mente e con la vita. E informare di essa leterre sconvolte del nostro mondo.Separazioni nell’unico e inseparabile corpo di Cristo. Guerre di religione (un ossimoro diabolico). Tentazioni del potere.

 

Tutto è andato contro il dispiegamento di una cultura cristiana. Di un umanesimo cristiano. Perché, penso, non sempre abbiamo saputo riconoscere – come grandi maestri del pensiero cristiano hanno fatto – la cattedra da cui veniva dato – viene dato – questo insegnamento. È la cattedra della Croce, dove questa cultura è nata. La risurrezione è il giorno luminoso di questa cultura.

 

Ho detto: è nata. Più esatto dire: sempre di nuovo continua a nascere. Perché è sulla Croce, nel dramma immenso dell’abbandono, che la Verità – cuore di ogni autentica cultura – è stata aperta: squarciata nello squarcio del fianco, squarciata in quel grido: «Perché mi hai abbandonato?». La Verità di un Dio non blocco di perfezione chiuso in sé, ma apertura di un Amore, impossibile per la nostra povera intelligenza, che conosce una legge sola: la legge del Dono Assoluto.

 

Ciascuno dei Tre è Dono nella reciprocità assoluta. Un Dono tale che ciascuno dei Donanti è sciolto in esso, è solo Dono. Sussiste, perché Amore, nella purezza del Dono. Restituito a se stesso dall’assolutezza del Dono stesso. In questa rivelazione del Dio del Cristo troverà conferma, compimento e nuova luce la rivelazione del Dio del Sinai. Il Dio che si è detto «io sono colui che sono»: ma nell’ardere inconsumante di un roveto. E troppo spesso ci siamo fermati, nella nostra riflessione, sul sono di colui-che-è; senza coniugarlo con quell’ardere

senza spegnimento.

 

Io sono – mi dirà Gesù dalla sua croce – perché non sono. Non l’immobilità di un essere chiuso su se stesso, con nulla comunicante – neppure con se stesso –, ma il tutto Donato di un Amore che nulla trattiene, e che è se stesso proprio in questo nulla trattenere. Gesù ha vissuto questa realtà nella sua carne. Tutta la sua vita

è stata questo continuo donarsi, senza risparmiarsi. E i momenti di solitudine con il Padre erano quel donarsi al suo estremo. Sulla Croce, i “due” donarsi – per così dire –, a noi e al Padre, sono stati una cosa sola. Il Verbo di Dio, il Figlio, ha fatto sue le vibrazioni laceranti della sua carne di uomo, distesa sulla croce per essere data «sino alla morte».

 

Il “Figlio dell’uomo” è stato introdotto nel segreto terribile dell’Amore che è Dio-Amore forte come la morte.

Tutto questo è stato, è, offerto ai figli dell’uomo. La Chiesa dovrebbe essere l’ostensione, l’esposizione di questo modo compiuto d’essere uomo. Nella vita. Sappiamo noi riconoscere nell’altro, nell’altra, chiunque essi o esse siano, noi stessi? Sciolti dai legami rigidi dell’io chiuso e ripiegato su di sé? Trovare noi stessi negli spazi aperti della comunione, nella purezza di quell’aria che è lo Spirito di Dio?

 

Quanto più leggera sarebbe la vita! Quasi una danza nella quale ciascuno è se stesso nell’accordo armonioso con gli altri. Passando dal movimento in questa terra al movimento nei Cieli nuovi e Terre nuove, senza interrompere l’armonia della danza. Nel pensiero. Imparare a liberare il pensiero da se stesso. Un pensiero sciolto nel Dono. Un pensiero amore. Un pensiero che offre, senza nulla trattenere per sé, quanto la Verità, che è Amore, gli offre. Un pensiero che è se stesso perché donato a sé dagli altri che si fanno Dono per lui. La parola creata, allora, diventa reale immagine della Parola.

 

Increata, Mediatrice che si fa nulla (il Cristo abbandonato sulla Croce) perché le realtà comunichino fra loro. Realtà che, assunte dalla Parola, diventano comunicazione con il Padre della Parola. E quanto nasce dal pensiero custodisce in sé questa per noi impensabilità. Un pensiero che, libero da schemi duri custoditi tali dal nostro impaurito egoismo, sappia generare vita. Sia questo nell’estasi delle arti, regolate poi dalla esigenza del Dono-Amore. Sia questo nella complessità del muoversi della ragione, ma ora fatta capace di raggiungere, come nave, il largo, senza le paure dell’ignoto.

 

Sia questo nelle strutture che devono articolare le convivenze sociali: strutture sempre sciolte negli orizzonti aperti dalla profezia, anche laica, non nel nome di una rivoluzione permanente, ma per l’obbedienza che l’Amore mi spinge ad avere verso la Verità, ne sia, io, o non ne sia cosciente. La Verità mai esaurita o esauribile nella storia; la storia, come sentiero che conduce alla Verità. In questa ottica, la fede non è altro che il coronamento, nel pensiero di Dio, del desiderio profondo che è la creatura umana. Sino alla fioritura nelle “praterie celesti”, per dirla con Platone. Tutto questo è quanto ha fatto zampillare in me l’acqua bevuta dalle parole di Chiara.

 

Acqua mia e non mia. Perché amore. Presenza nel mio pensiero del pensiero di Chiara. Pensiero di Chiara ora più che mai pensiero mio, suggellato dal Dono ultimo dell’Amore ultimo: quello della vita tutta consumata-realizzata nell’Amore.

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