Per una cultura del dare

Ogni persona è un imprenditore che deve amministrare i doni, le capacità che ha ricevuto. Tutti possiamo dunque essere protagonisti dell'Economia di Comunione: ne parla Maria Voce, presidente dei Focolari, nell'appuntamento settimanale della rubrica
Emmaus - libro-intervista

Cultura del dare, Economia di Comunione, finanche il Polo Lionello Bonfanti, uno dei promotori della manifestazione Loppianolab: dalle intuizioni di Chiara Lubich, fondatrice dei Focolari, alla lettura che ne dà l'attuale presidente, Maria Voce Emmaus. Anche di questo si parla nel libro intervista: Maria Voce in dialogo con Paolo Lòriga e Michele Zanzucchi, La scommessa di Emmaus, cosa fanno e cosa pensano i focolarini nel dopo Chiara Lubich (Città Nuova editrice, pp. 192, € 14,00), dal quale vi proponiamo un piccolo estratto.

 
I focolarini non fuggono il mondo, ma lo vogliono cambiare. Non fanno scelte pauperistiche, ma si impegnano nell’ambito imprenditoriale a far fruttare denaro e capacità per accrescere posti di lavoro e aiuti ai diseredati, oltre che a formare persone a una cultura evangelica che valorizzi le capacità personali. Chiara Lubich ha inventato l’Economia di Comunione. Significa che tutti nel Movimento sono chiamati a essere attivi, intraprendenti, a scoprire in qualche modo l’imprenditore che è in ciascuno?
 
Può significare anche questo, come ulteriore interpretazione, come estensione di senso. Per me vuol dire pensare e agire in modo economico partendo dal principio che è sempre stato alla base del Movimento, fin dai primi tempi, che cioè vale di più “dare” che “avere”, vale di più essere dono per gli altri che cercare negli altri quello che può risultare a proprio servizio o vantaggio. È la cultura del “dare” il fondamento della visione economica del carisma dell’unità.
 
Su questa premessa va evidenziato che la “cultura del dare” deve poggiare – e non sembri un paradosso – sull’“avere”, avere da dare. E allora ecco l’importanza, nella vita di ciascuno del Movimento, di valorizzare e sfruttare i propri talenti, di trovare il modo di dare il massimo delle proprie possibilità anche nel campo sociale o imprenditoriale.
 
Ma tutto parte dal voler agire e intraprendere solo in favore dell’altro, non tanto in vista del proprio esclusivo tornaconto, della possibilità di costruirsi una posizione o di accumulare una ricchezza.
Ognuno è in definitiva imprenditore di qualcosa, amministratore dei doni ricevuti da Dio: capacità di trasformare, di innovare, di abbellire, di produrre crescita e idee, di sviluppare attenzione verso gli altri. Quindi intendiamo l’essere imprenditore nel senso più ampio dell’espressione, frutto di un atteggiamento fondamentale: quello di mettersi di fronte all’altro come a qualcuno a cui dobbiamo qualcosa, senza nulla pretendere.

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