Per la Consulta intercettazioni illegittime

La Corte costituzionale ha accolto il ricorso del presidente della Repubblica Napolitano: la procura di Palermo avrebbe dovuto chiederne al giudice l'immediata distruzione come indicato dal Codice di procedura penale in merito alle intercettazioni vietate
Napolitano-Mancino

La Corte costituzionale ha accolto ieri – 4 dicembre 2012 – il ricorso del presidente della Repubblica sul conflitto di attribuzione con la procura di Palermo nel processo della cosiddetta trattativa Stato-mafia. Come si ricorderà (vedi l'articolo "Lo Stato trattò davvero con la mafia?") la presidenza della Repubblica, ritenendo lese le proprie prerogative, ha sollevato di fronte alla Consulta conflitto d'attribuzione nei confronti della procura di Palermo. Il relativo ricorso, predisposto dall'avvocatura dello Stato, è stato trasmesso alla Corte il 30 luglio. 

Il 12 ottobre, la procura di Palermo si è costituita in giudizio. Il 23 novembre avvocatura e procura hanno depositato le rispettive memorie. Oggi l’ex ministro Mancino è accusato di falsa testimonianza. Nel periodo che ha preceduto l'avvio del procedimento a Palermo che lo vede con altri imputato, ci sono stati contatti tra lui e il Colle, in particolare telefonate con Loris D'Ambrosio, il consulente giuridico del Quirinale morto il 26 giugno scorso, e in alcune occasioni, con lo stesso Napolitano. Queste ultime conversazioni sono state in tutto quattro, come si è saputo dagli atti depositati per conto della procura di Palermo su richiesta della Corte costituzionale durante l'iter del conflitto tra poteri. In due casi a chiamare è stato Mancino, peraltro alla vigilia di Natale 2011 e, pochi giorni dopo, il 31 dicembre; in altre due occasioni, a telefonare è stato il presidente stesso.

Ieri la decisione della Consulta che ha ribadito che non spettava alla procura valutare la rilevanza delle intercettazioni, né di omettere di chiederne al giudice l’immediata distruzione ai sensi dell’articolo 271 del Codice di procedura penale. Ad illustrare la vicenda di fronte alla Corte sono stati i giudici relatori, Gaetano Silvestri e Giuseppe Frigo: il primo ha illustrato la posizione espressa nel ricorso predisposto dall'avvocatura generale dello Stato per conto del Quirinale, e il secondo la posizione della procura, che ha chiesto l'inammissibilità del ricorso. Gli avvocati delle parti: l'avvocato generale dello Stato Giuseppe Dipace e i colleghi Antonio Palatiello e Gabriella Palmieri per il presidente della Repubblica; gli avvocati Alessandro Pace, Mario Serio e Giovanni Serges per la procura di Palermo.

Secondo l’avvocatura generale dello Stato, «la procura di Palermo ha trattato queste intercettazioni come normali intercettazioni, non ha tenuto presente il fatto che siano intercettazioni illegittime», perché riguardano il capo dello Stato e vietate dall'art. 90 della Costituzione e dalla legge collegata 219/1989. Lo ha sottolineato l'avvocato dello Stato Michele Dipace nell'udienza in Consulta sul conflitto Napolitano-procura di Palermo. E la collega Gabriella Palmieri ha sottolineato che per questa via si è «prodotto un vulnus nella riservatezza del presidente». Sia Dipace che Palmieri hanno ricordato che, a loro giudizio, la procedura individuata dai magistrati di Palermo per le intercettazioni indirette che hanno coinvolto Giorgio Napolitano, ossia l'udienza stralcio di fronte al gip (giudice per le indagini preliminari) e alla presenza delle parti, «esponeva al rischio che quelle comunicazioni fossero rese pubbliche», violando «il principio della loro riservatezza». Secondo l'avvocatura generale la strada per la distruzione delle registrazioni è indicata dall'art. 217 del Codice di procedura penale sulle intercettazioni vietate, in base al quale «il giudice decide senza contraddittorio» – hanno osservato i legali del Colle – con «l'obbligo che la loro distruzione debba avvenire senza possibile divulgazione» dei contenuti.

«La Corte costituzionale – scrive nel dispositivo della sentenza la Consulta – in accoglimento del ricorso per conflitto proposto dal presidente della Repubblica ha dichiarato che non spettava alla procura della Repubblica presso il tribunale ordinario di Palermo di valutare la rilevanza della documentazione relativa alle intercettazioni delle conversazioni telefoniche del presidente della Repubblica, captate nell'ambito del procedimento penale n. 11609/08 e neppure spettava di omettere di chiederne al giudice l'immediata distruzione ai sensi dell'articolo 271, 3° comma, Codice procedura penale e con modalità idonee ad assicurare la segretezza del loro contenuto, esclusa comunque la sottoposizione della stessa al contraddittorio delle parti».

«Vado avanti nel mio lavoro con la coscienza tranquilla ritenendo di aver sempre agito nel pieno rispetto della legge e della Costituzione». Così il pubblico ministero Nino Di Matteo, uno dei magistrati titolari dell'indagine sulla trattativa Stato-mafia, ha commentato la decisione della Consulta.

Intanto, sempre ieri, un’altra notizia: resta a Palermo l'udienza preliminare del procedimento sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia. Il gup (giudice per l’udienza preliminare) Piergiorgio Morosini ha rigettato le eccezioni di incompetenza territoriale sollevate dai difensori di alcuni dei 12 imputati, accusati, a vario titolo, di violenza o minaccia a corpo politico dello Stato.
Il gup Piergiorgio Morosini ha rigettato anche la richiesta fatta dagli ex ministri Nicola Mancino e Calogero Mannino di inviare gli atti del procedimento sulla trattativa Stato-mafia al tribunale dei ministri. Il processo, dunque, prosegue a Palermo. Mancino è accusato di falsa testimonianza, Mannino, insieme a diversi boss, al senatore Marcello Dell'Utri, e ad alcuni ex ufficiali del Ros (Reparto operativo speciale dei carabinieri) di violenza o minaccia a corpo politico dello Stato.

La ricerca della verità, come si vede, è costellata da oggettive difficoltà e insidie. Per questo serve il massimo della responsabilità e della sensibilità. Da parte di tutti.

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