Pd, le ragioni di una crisi

Dopo il crollo nelle elezioni anche in Trentino, il partito, con Martina dimissionario, si avvia verso un congresso dagli esiti incerti. Con quale visione? L’opinione del politologo Paolo Pombeni. Anche sul ruolo dei cattolici come lievito della società
Nicola Zingaretti (s) e Maurizio Martina ANSA/GIUSEPPE LAMI

La crisi del Partito democratico, che dovrebbe tenere il suo congresso nazionale nel febbraio 2019, ha trovato conferma con i recenti risultati elettorali nelle amministrative del Trentino Alto Adige. Abbiamo chiesto un parere al politologo Paolo Pombeni che, oltre ad essere uno tra i maggiori conoscitori della cultura politica del nostro Paese, è anche attento editorialista di Vita Trentina, il settimanale diocesano di informazione molto diffuso sul territorio.

Dalla sua prospettiva di osservazione ha potuto verificare il crollo del Pd e dei suoi alleati anche nel Trentino. Come si spiega la vittoria della Lega anche in aree che si credevano ancorate alla cultura cattolico democratica?
I tempi cambiano e la cultura che un po’ sbrigativamente si definisce “cattolico-democratica” non ha saputo leggere questo cambiamento: ha ripetuto stancamente i tradizionali slogan che un tempo ne avevano determinato il successo. Soprattutto non si è dato spazio ad un rinnovamento di classi dirigenti che esprimessero un dinamismo sociale. Il voto per la Lega è stato un voto in parte di paura e in parte di protesta. Paura per un cambiamento di clima che le classi dirigenti passate si ostinavano a non riconoscere nella sua radicalità e che dunque ha indotto una quota notevole di elettori a puntare su chi, invece, si proponeva come colui che avrebbe preso il toro per le corna. Protesta verso classi dirigenti che non facevano spazio al ricambio privilegiando il professionismo politico forgiato sugli stereotipi della vecchia cultura, in parte astrattamente “autonomista” (cioè “va bene così, siamo alleati coi sudtirolesi”) in parte radical-chic (quelli che hanno formato la loro cultura politica sulla stampa di quel tipo).

Come valuta il percorso del Pd che si prepara al congresso prima delle elezioni europee. Il segretario dimissionario Maurizio Martina ha avuto possibilità di indirizzare il partito dopo la sconfitta del 4 marzo oppure ha avuto troppi vincoli interni?
Il Pd non sta facendo nessun percorso verso il congresso. C’è semplicemente una lotta, che a tratti si trasforma in zuffa, fra le varie tribù politiche da cui è ormai composto. A Martina è mancata la materia prima per poter avviare una riflessione vera sulle ragioni del declino del Pd: come poteva farlo con una struttura che è al cento per cento formata dai professionisti politici che hanno gestito la storia degli ultimi vent’anni?  Quando pesca fuori, al massimo va ad interpellare le Sibille cumane di qualche talk show televisivo. Una riflessione seria dovrebbe essere in grado di confrontarsi con quelle strutture meno visibili che operano nella società e con quelle intelligenze, specie giovani, che non trovano spazi nel gran teatrino della comunicazione pubblica. Ci vorrebbe qualcuno disposto a lavorare per far emergere queste forze senza che si muovesse con l’handicap di lavorare solo per rilanciare le sue personali zoppicanti fortune. E questo non lo vedo.

Come valutare i costanti inviti della Cei ad una maggiore presenza effettiva e visibile dei cattolici in politica? Come può avvenire senza chiudersi in piccoli partiti identitari o trasformarsi in lobby trasversali?
I vescovi, che hanno un contatto con la situazione reale, sono giustamente preoccupati per quei fenomeni che ho sommariamente descritto prima. I cattolici non possono rassegnarsi al declino della nostra civiltà, perché di questo si tratta. Certo la soluzione non è illudersi di mettere in piedi un nuovo “partito cattolico” che sarebbe gradito indubbiamente sia alla destra che alla sinistra che pensano che alla fine con un “partito” si trova sempre modo di negoziare. Ciò che oggi manca è una agenzia che abbia la forza di essere la levatrice di quella nuova cultura di cui c’è bisogno, una nuova cultura in cui il cattolicesimo, con la ricchezza di una tradizione oggi in ombra, può essere il lievito nella pasta. La Chiesa potrebbe ancora avere la forza per investire le sue residue risorse nel creare quella “agorà civile” dalla quale e nella quale può rinascere una classe dirigente che trova riscontro in una nuova cultura sociale diffusa. È un lavoro lento e paziente, e già questo è in controtendenza in quest’era del tutto e subito. L’importante è anche per la Chiesa mostrare che questa azione è un “servizio” per la società e non un’azione strumentale per ingrossare le sue fila. Il troppo lievito farebbe impazzire la pasta.

Paolo Pombeni ha pubblicato con Città Nuova il testo “La politica dei cattolici (dal Risorgimento ad oggi)”

 

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