Paura energia solidarietà

Non ancora sotto controllo la contaminazione nucleare in Giappone. I nuovi scenari energetici. Il mondo sempre connesso dalle tecnologie digitali
Fukushima: reattori nucleari

Sulla compostezza e dignità del popolo giapponese si è molto commentato. E forse presto si parlerà anche della loro capacità, già sperimentata in altre occasioni, di ricostruire velocemente sulle macerie. Ma forse qualcosa è cambiato: quale significato avranno ora le parole consumi sempre crescenti, fiducia nella tecnologica, natura, futuro? E i bambini rimasti senza genitori, terra natale e identità, a quale cultura apparterranno? Per non parlare delle popolazioni sfollate dai dintorni della centrale di Fukushima.

 

L’inquinamento radioattivo, pur non alterando l’ambiente in modo visibile, può contaminarlo per periodi lunghissimi, in dipendenza dei prodotti rilasciati. In Europa e in Italia – come riporta il sito dell’Ispra (Istituto superiore protezione e ricerca ambientale) –, attualmente non ci sono rischi di tipo sanitario. Ma per la popolazione giapponese le cose stanno ben diversamente: l’acqua altamente contaminata presente negli edifici danneggiati della centrale, continua a riversarsi in mare, inquinandolo al largo. Il problema è che in questo campo non c’è una soglia minima al di sotto della quale si può stare tranquilli, può bastare un singolo atomo radioattivo a innescare una mutazione cancerogena.

 

Per questo il nucleare fa paura, fin da quando fu utilizzato come bomba atomica, proprio sul Giappone, 66 anni fa, con la distruzione e le malformazioni conseguenti. Lo tsunami ha distrutto città, danneggiato dighe, centrali elettriche, industrie e trasporti, eppure gli occhi continuano ad essere fissi sui reattori nucleari. Contro la paura non c’è ragionamento che tenga. Per di più, anche nella gestione normale non è facile garantire sicurezza delle centrali e gestione delle scorie: richiede uno Stato “forte”, organizzato, stabile e scelte impopolari. Il Giappone è (o sembrava) uno stato super efficiente, eppure a tre settimane dalla tragedia, la gestione dell’emergenza radioattiva sembra ancora troppo basata sulle decisioni dell’azienda privata che gestisce la centrale.

 

A Fukushima è finita anche l’era dell’energia abbondante e a basso costo. Ci sarà una moratoria nella costruzione di nuove centrali nucleari – va rimesso in discussione l’intero progetto –, e molte vecchie saranno chiuse. Ma le nostre società sono affamate di energia, e nessuna fonte è senza controindicazioni: il costoso petrolio contribuisce al riscaldamento globale, mentre il carbone è un killer silenzioso per l’emissione di microparticelle che ci avvelenano lentamente. Il prezioso gas arriva da regioni socialmente turbolente e dovrebbe essere usato solo per il riscaldamento domestico.

 

Fotovoltaico ed eolico possono realisticamente contribuire con percentuali molto diverse da Paese a Paese: in Italia qualche contadino comincia ad abbattere gli ulivi per coprire i campi di pannelli fotovoltaici. Ma è saggio? Viene prima il bisogno di energia o la disponibilità di cibo? In tutti i paesi si discute aspramente dei nuovi scenari energetici che si stanno aprendo.

 

In ogni caso, in attesa di nuove fonti e modalità innovative di risparmio, i costi aumenteranno soprattutto per chi, come l’Italia, non ha risorse proprie. Il problema non si risolve né privilegiando (ideologicamente) questa o quella fonte di energia, né operando a livello di singolo Stato. È tempo che siano gli organismi internazionali come l’Unione europea a farsi carico di strategie energetiche coordinate, ma non sarà facile andare contro la visione miope che guarda solo al proprio giardino e alla propria convenienza immediata.

 

Tutti dovremo adattarci a una nuova sobrietà e solidarietà gli uni con gli altri. Dopo Fukushima il mondo è cambiato anche perché, grazie alle comunicazioni digitali, abbiamo vissuto come non mai il disastro in diretta, temendo, soffrendo (e pregando) insieme. «Dobbiamo imparare a convivere con la natura e aiutarci», ammoniva una giovane giapponese. Sì, quando la natura colpisce e la tecnologia fallisce rimane solo l’uomo, con la sua fragilità e la sua forza. Come gli addetti alla sala controllo della centrale nucleare, rimasti in tutti questi giorni al loro posto, nonostante le radiazioni, per salvarci tutti da guai peggiori.

 

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