Pasticcio all’Italiana

Veti politici incrociati fanno scendere drasticamente le possibilità per il nostro Paese di aggiudicarsi l’organizzazione delle Olimpiadi invernali 2026. Nel frattempo le due Coree …

Olimpiadi si, Olimpiadi no! Per comprendere meglio l’acceso dibattito (a dire il vero più politico che sportivo) su una possibile candidatura italiana per l’organizzazione dei Giochi invernali del 2026, che nelle cronache degli ultimi giorni si è ritagliato spesso uno spazio importante, vale la pena fare un riassunto delle puntate precedenti. Poco più di un anno fa, infatti, il Coni, il nostro Comitato Olimpico nazionale, valuta seriamente l’ipotesi di candidare l’Italia per l’organizzazione dei Giochi invernali che si disputeranno tra otto anni (i prossimi, quelli del 2022, si svolgeranno invece a Pechino). Inizialmente la città destinata a concorrere per l’assegnazione dei Giochi è Milano, che con il sostegno della Valtellina sembra poter mettere in campo un progetto capace di avere davvero ottime chance di successo.

Con il passare dei mesi la possibile candidatura italiana riceve numerosi attestati di stima a livello internazionale. Lo stesso Cio, il Comitato olimpico internazionale che il 10 settembre del 2019 dovrà decidere su chi ricadrà l’onere e l’onore di organizzare la venticinquesima edizione dei giochi a cinque cerchi che si disputano su ghiaccio e neve, guarda con favore alla proposta tricolore. Giovanni Malagò, il presidente del CONI, questa volta non intende però fare passi falsi. Dopo la candidatura di Roma, prima presentata e poi ritirata all’ultimo minuto sia per i Giochi estivi del 2020 (dopo il no del Governo Monti), sia per quelli del 2024 (in quel caso fu decisivo lo stop imposto dal sindaco pentastellato Virginia Raggi), un nuovo passo indietro rischierebbe, infatti, di danneggiare irreparabilmente la credibilità italiana in fatto di organizzazione di grandi eventi sportivi. Relegando di fatto, il nostro paese, ai margini della politica-sportiva mondiale.

Arriviamo a marzo di quest’anno quando, un po’ a sorpresa, Chiara Appendino, sindaco del Movimento 5 stelle del capoluogo piemontese, annuncia che anche Torino è pronta a scendere in campo. All’improvviso, si accende così un’imprevista competizione interna, alla quale, proprio in extremis, si aggiungono anche il Veneto e la città di Cortina d’Ampezzo. L’Italia, quindi, conferma al Cio la seria intenzione di candidarsi, riservandosi però di decidere solo in un secondo momento il nome della città o delle città candidate. Nel frattempo, si vengono a delineare anche le altre concorrenti interessate all’aggiudicazione dei Giochi del 2026. Si tratta, in stretto ordine alfabetico, di Calgary (Canada), Erzurum (Turchia), Graz (Austria), Sapporo (Giappone), Sion (Svizzera) e Stoccolma (Svezia). Un folto gruppo, destinato però a sfoltirsi drasticamente nei mesi successivi …

Il primo di agosto scorso il Coni (invece di votare e scegliere una sola candidata) decide di puntare su una designazione congiunta tra Cortina d’Ampezzo, Milano e Torino. A dire il vero, quest’ultima città ha ancora qualche riserva, ma il nostro Comitato olimpico è fiducioso alla fine di trovare una quadra. Tale scelta nasce dalle precise indicazioni del nuovo Governo, che chiede al Coni di ricercare una soluzione low cost, e di farsi garante della massima sintonia possibile tra le diverse candidate (un modo, diciamola tutta, anche per non scontentare nessun partito …). Intanto, si ritirano Sion (a giugno un referendum popolare ha bocciato la candidatura rossocrociata), e Graz (in questo caso per il mancato sostegno da parte del Governo Provinciale). E anche Sapporo, appena qualche giorno fa, decide di fare un passo indietro (proverà ad aggiudicarsi l’organizzazione dei Giochi del 2030).

A questo punto, considerando che la candidatura di Calgary è sub iudice in attesa di un referendum che si terrà a novembre, che la possibile scelta di Erzurum suscita nei membri del Cio più di qualche “prurito” (la città è situata nell’Anatolia orientale a ridosso dei delicati confini con l’Armenia e con la Siria), e che anche Stoccolma ha i suoi problemi (a dieci giorni dalle elezioni la situazione politica è ancora molto incerta), la candidatura italiana sembra avere davvero molte carte da giocarsi. Diciamo che è come se, quasi a fine partita, ci fosse stato fischiato un calcio di rigore a favore, peraltro con il portiere avversario debilitato. Ma noi, invece di pensare a segnarlo, ci mettiamo a litigare tra di noi per decidere chi deve batterlo questo rigore.

Proprio così! Invece di pensare a segnare il rigore, arriviamo a quanto accaduto negli ultimi giorni, a quello che potremmo definire un nuovo “pasticcio all’italiana”. Il Sindaco di Torino (città che come molti ricorderanno ha già organizzato in modo eccellente i Giochi del 2006), manifesta la propria indisponibilità a proseguire con una candidatura congiunta. Ufficialmente, perché manca chiarezza su chi finanzierà effettivamente l’evento e su come lo finanzierà. Ufficiosamente, si sussurra invece da più parti, perché il Sindaco di Milano, Giuseppe Sala (Pd), pretende che la sua città abbia una posizione prioritaria nella candidatura. In un attimo il castello della proposta a tre punte si sfalda. Il sottosegretario allo sport, Giancarlo Giorgetti (Lega), martedì 18 settembre dichiara che “la candidatura a tre è morta”, sostenendo anche che eventuali proposte alternative non avranno il sostegno economico del Governo.

Da qui in poi, si scatena un susseguirsi di dichiarazioni (e di accuse reciproche) da parte di numerosi esponenti di maggioranza e opposizione. Ogni partito, come spesso succede, sembra orientato più a tutelare i propri interessi (e quelli delle città o delle regioni guidate da un proprio esponente), piuttosto che a cercare di lavorare davvero ad una soluzione unitaria nell’interesse di tutti. Alla fine, nel giro di pochissime ore, ecco il colpo di scena. Nasce, infatti, un’ipotesi alternativa, quella di una candidatura delle sole Milano e Cortina. O, sarebbe meglio dire, di una candidatura lombardo-veneta. Eh già, perché al momento, senza le garanzie economiche del Governo (ma perché per la candidatura a tre queste garanzie economiche c’erano?), sono i Governatori delle due regioni, Attilio Fontana e Luca Zaia (entrambi esponenti della Lega), a farsi da “garanti” dell’operazione.

«Ce la caveremo con i nostri soldi , il loro commento – con quelli dei privati e con l’aiuto del Cio (che verserà alla città designata circa 1 miliardo di euro, ndr)». Il problema è che ormai non rimane molto tempo. I primi di ottobre, in occasione dei Giochi olimpici giovanili, si riunirà a Buenos Aires (Argentina) l’esecutivo del Cio che darà il via libera alle candidature ufficiali delle città (per ora si è trattato solo di “manifestazioni d’interesse”). E lì i Giochi saranno fatti. Una cosa è certa: salvo ripensamenti, da non escludere del tutto, senza il ritorno in gioco di Torino, e senza il sostegno del Governo, le nostre possibilità di successo sono decisamente ridimensionate. Nel frattempo, proprio nelle ore in cui in Italia si assisteva a questo “teatrino”, a margine dello storico summit in corso a Pyongyang tra il presidente sudcoreano Moon Jae-in e il leader nordcoreano Kim Jong Un, è arrivato un annuncio che va in una direzione diametralmente opposta …

Le due Coree, infatti, hanno comunicato al mondo intero che (oltre ad aver messo le basi per un importantissimo accordo di denuclearizzazione) intendono presentare una candidatura comune per ospitare i Giochi estivi del 2032 (quelli che si disputeranno dopo le edizioni già assegnate a Parigi nel 2024 e a Los Angeles nel 2028). Un progetto certamente ambizioso, che se andasse davvero in porto alzerebbe ancora di più il livello di disgelo e di cooperazione reciproca tra i due paesi. Il tutto, in un percorso di pace che continua ad andare avanti e che è stato intrapreso, proprio grazie allo sport, in occasione dei Giochi invernali dello scorso febbraio. Questo annuncio, davvero significativo, è un inequivocabile segnale di dove può portare la forza dell’unità. Un segnale, profondamente diverso da quello (di divisione) dato in questi giorni dai nostri esponenti politici, “soggiogati” dai soliti campanilismi di casa nostra.

 

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