Parrocchie… contagiose

La sfida vinta da tante comunità parrocchiali che hanno saputo reagire positivamente alla pandemia in corso
Una messa in streaming (Foto Marco Alpozzi/LaPresse)

«In questo periodo di isolamento, a causa della pandemia, abbiamo cercato nel nostro piccolo di impegnarci perché all’interno della nostra comunità e dei vari gruppi presenti in parrocchia continuasse lo spirito di famiglia e di unità mettendo in pratica quella “creatività dell’amore” di cui tante volte papa Francesco ci ha parlato e spronato a vivere, per aiutarci a non cadere nello sconforto e nella paura. Soprattutto con gesti semplici. […] Toccante è stato per noi il grazie arrivato da una famiglia del nostro gruppo per come si è cercato di star loro vicino accompagnando la loro mamma nell’ultimo viaggio. Così hanno scritto: “Grazie a tutte le famiglie che lunedì sera si sono unite (da casa loro) alla nostra famiglia per la recita del rosario. Grazie a quelle persone che nel rispetto delle norme hanno atteso sul proprio balcone o proprietà il passaggio del feretro. Vallo era tutto lì a salutare silenziosamente la mamma. Sì, adesso ho capito cosa significa Vallo-Comunità”».

È quanto ha raccontato Renata, della parrocchia di Vallo Torinese, facendo eco ad alcune espressioni di don Vincenzo di Pilato: «Restare senza l’eucarestia o altri sacramenti non equivale a essere distanti da Gesù. Egli ha garantito di essere presente “dove due o più sono riuniti nel suo nome”. Non avendo però delimitato uno spazio sacro “dove” renderlo possibile, possiamo credere che egli intenda qualunque relazione “nel suo nome”, ovvero “nel suo amore”. Quindi, nonostante le distanze, Egli è ora presente qui tra noi se ci amiamo fino a dare – almeno intenzionalmente – la vita gli uni per gli altri. In fondo, è proprio questo il significato della Pasqua».

Quindi anche attraverso i media, come ha deciso di fare la segreteria internazionale del Movimento parrocchiale e del Movimento diocesano dei Focolari. Aveva fissato in calendario un convegno al Centro Mariapoli di Cadine (Trento) dal 22 al 25 aprile in occasione del centenario della nascita di Chiara Lubich, ma non potendolo svolgere in modo presenziale si sono “lanciati” – hanno confidato gli organizzatori – in questa avventura perché sollecitati da più parti e soprattutto dai più giovani. Ai quali va un grazie speciale anche per aver aiutato chi è più a disagio nel navigare nel mondo digitale, cogliendone una opportunità di rapporto tra generazioni.

Una serie di esperienze. Anche di chi opera in ospedale, come ha fatto Marco, originario di Ischia: «Insieme a tante difficoltà, ci sono anche cose belle. Per esempio tra noi infermieri, medici e specializzandi del reparto si è venuto a creare un bellissimo clima di famiglia: c’è chi cucina per tutti, chi si preoccupa di procurare materiale per tutti a spese proprie, chi durante la giornata ti chiama giusto per sapere come stai, se qualcuno scrive sul gruppo di una difficoltà anche di notte c’è sempre chi ti sostiene e aspetta che il problema si sia risolto. Insomma cerchiamo di fare agli altri ciò che vorremmo fosse fatto a noi! Sì, questo virus ci ha diviso fisicamente, ma sotto altri punti di vista ci ha unito, ci ha resi più vicini! E poi vedere il sorriso negli occhi delle mamme dei bambini che hanno il tampone negativo o che hanno dei miglioramenti è bellissimo, ti rende migliore la giornata e ti fa dimenticare tutta la fatica che stai facendo!».

«Non potendo andare fuori come prima – hanno detto alcuni della Corea – è aumentato il tempo per stare in famiglia, è cresciuto l’amore scambievole tra i familiari. Stando in casa per via di Covid, ci si è presa più cura dei genitori anziani o malati. Ci si è accorti delle esigenze di ciascuno e si sono condivise di più le reciproche necessità. Fermata l’attività economica si è stati più attenti anche a condividere con chi sperimenta maggiori difficoltà come espressione dell’amore al prossimo».

Erano collegate persone di diversi paesi: dal Brasile alla Slovacchia, dalla Colombia alla Romania, oltre l’Italia. Ed era toccante sentire esperienze, riflessioni, canti che coinvolgevano centinaia di persone di ogni età e vocazione. Difficile descrivere ciò che si provava nel leggere i commenti che scorrevano nelle diverse lingue nella chat.

Don Mario della Svizzera ha informato della nascita di un bollettino di nome “Kontat-contatto”, per raccogliere le esperienze di quanti sono impegnati a testimoniare il carisma dell’unità nelle parrocchie e della recente idea di dedicare il prossimo numero a diffondere come si sta affrontando l’attuale crisi.

Don Ludo dalla Slovacchia racconta: «Il coronavirus ha cambiato anche la nostra vita parrocchiale. Il governo ha preso misure di sicurezza forti: non si possono celebrare pubblicamente messe, battesimi e fare incontri. Abbiamo dovuto chiudere anche il nostro asilo parrocchiale con 60 bambini e con il campo da giochi. Ho cercato di incoraggiare tutti, soprattutto gli anziani che regolarmente ogni giorno venivano a messa, e si sentivano spiazzati. I genitori giovani, con bambini e ragazzi, erano commossi, quasi piangevano: “Come faremo adesso?”, perché ogni domenica ci incontravamo circa una quarantina di famiglie. Soprattutto ho incoraggiato a leggere insieme il Vangelo e a discuterne in casa, perché la preghiera e la messa da sole non bastano. Sinceramente, questo non lo capivano molto, perché non erano stati educati così, ma so che qualcuno lo sta facendo. Dopo una settimana dall’inizio della quarantena mi hanno chiamato dal Comune per partecipare agli incontri del gruppo di crisi. Ho potuto aiutare con vari provvedimenti e anche condividere la mia visione della situazione. Si vedeva che la mia presenza e le mie parole pacificavano e incoraggiavano tutti. I primi venerdì del mese noi sacerdoti andiamo a visitare malati e anziani e portiamo la Comunione: un’occasione particolare alla quale tengono tanto. Visitiamo circa una trentina di persone ogni mese. A un certo punto, però, i medici mi hanno sconsigliato di andare a visitarli. Io mi sentivo proprio male, perché – mi dicevo – non posso abbandonarli! Il venerdì mattina ho litigato con Gesù: “Perché li devo lasciare soli? Non è giusto!”. E in quel momento mi è venuta l’idea di scrivere loro una bella lettera. Subito ho preso la macchina e sono andato a imbucarla nelle cassette postali delle loro case. Allora mi sono sentito in pace, perché avevo fatto tutto quello che era nelle mie possibilità in quel momento. Poi, mi sono informato di come fare videoconferenze e ho cominciato più volte la settimana a dialogare con giovani e adulti. Spesso attorno ad essi sono presenti familiari o amici che ascoltano».

La speranza che abbiamo respirato ha dato un’indicazione precisa su cosa è necessario in questo momento: un popolo che, fondato sul comandamento nuovo del Vangelo, doni gratuitamente (con umiltà e senza timore) a tutti quanto ha ricevuto, perché è per tutti.

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