Parliamo di migrazioni con cognizione di causa!

Il nostro editorialista risponde ad alcune critiche mosse al suo articolo pubblicato nei giorni scorsi su questo sito. Le argomentazioni dovrebbero essere razionali e non ideologiche
Migranti in Ungheria

Cittànuova.it ha gentilmente inserito, in merito alla questione delle migrazioni, un riferimento a un mio articolo pubblicato nel 2014 sulla rivista Nuova Umanità. La breve sintesi che si trova online è stata fatta forse un po' troppo frettolosamente commentata da alcuni lettori critici. Anzitutto, grazie dell'attenzione, e non voglio fare dell'ironia: lo dico perché lo penso davvero. Proprio per questo, mi sembra importante, per poter impostare un dibattito serio, ed anche un dissenso informato, che esso si svolga, se possibile, sull'intero testo, che è un breve saggio e non un articolo pensato per un giornale.

 

La tesi di fondo dell'articolo è che le migrazioni siano un mega-trend del XXI secolo che va gestito con intelligenza, lungimiranza e flessibilità. Occorre una visione strategica e non accorgimenti tattici, occorre oltrepassare il paradigma della sicurezza per entrare in quello più ampio della sicurezza umana. Trovo difficile capire come le mie affermazioni, sulle quali si può ovviamente discutere, vengano liquidate come una giustificazione del capitalismo globale “armato” alla ricerca di manodopera a buon mercato (una tesi, peraltro, che “corregge” persino Wallerstein, da una parte, e la teoria della dependencia, dall'altra).

 

Prendere atto di questi flussi non vuol dire affatto non denunciare o non voler vedere che le migrazioni nascono da guerre, neo-colonialismi, miserie causate da sfruttamento. Ciò posto e condiviso, che facciamo con chi arriva qui ed ora? Gli diciamo di aspettare il nuovo ordine mondiale, la pace perpetua, la fine dell'imperialismo, la giustizia globale, la riforma dell'Onu? Andatelo a dire alle famiglie che fuggono da Kobane! Quanto alla Siria, invito a leggere il mio editoriale su Città Nuova (anche in questo caso, volendo, si può consultare per intero e non a brandelli intitolato senza equivoci “Siria, i perché di un no” e pubblicato esattamente due anni fa, il 9 settembre 2013. Perdonate l'auto-citazione, ma scrivevo, tra l'altro, che «l’unica risposta realistica non può che essere politica, per quanto appaia impraticabile. Guardiamo la storia recente: nessun intervento militare (Afghanistan, Iraq, Libia) ha davvero risolto i nodi fondamentali dei conflitti, che sono sempre quelli del mutuo riconoscimento, della giustizia e della riconciliazione se si vuole che la pace sia davvero duratura e la democrazia sostenibile. E c’è poi il binario di un necessario accordo regionale mediorientale per la risoluzione delle crisi, se vogliamo evitare di trovarci ciclicamente in situazioni come quella siriana».

 

Infine, sulla genesi dell'Isis e le sue caratteristiche strutturali, ho trovato molto istruttivo un libro uscito di recente, ma lontano dalle semplificazioni giornalistiche dell'instant book, e cioè quello scritto da Loretta Napoleoni, Isis. Lo stato del terrore, pubblicato da Feltrinelli. Invito a leggerlo, contiene analisi approfondite e affronta questioni complesse che non possono essere risolte con slogan più o meno fondati.

 

Insomma, c'è da farne un dibattito più ampio, peccato che Facebook non sia lo strumento più adatto. Sarebbe meglio dal vivo, una conferenza pubblica. Una cosa però vorrei dire: Città Nuova, e quanti scrivono per la rivista, non pretendono certo di possedere la scienza infusa o la verità sui mali del mondo; sono persone libere che tentano di offrire con disinteresse e apertura il loro contributo e la loro comprensione dei fatti e degli eventi, senza alcuna pretesa di avere le soluzioni in tasca. Questo, almeno, vorremmo che ci fosse riconosciuto anche quando le differenze sono profonde; ben vengano, il pluralismo è il sale della democrazia.

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