Parlare seriamente di articolo 18 ad agosto

È il mese delle decisioni dell’autunno imminente. Un dibattito aperto sui quotidiani a proposito del nuovo codice del lavoro in attesa degli investitori stranieri. Le semplici considerazioni del "vecchio" Pier Carniti
Operai al lavoro

Le decisioni importanti che determinano il destino di molti si prendono ad Agosto. Non ci siede nei consigli di amministrazione e negli altri luoghi decisivi, a settembre,  senza aver maturato e affinato la strategia nell’apparente calma dei giorni estivi. Per questo motivo non è una semplice schermaglia alla ricerca di visibilità, il dibattito che sta avvenendo sulla stampa  quotidiana a proposito della riforma del lavoro che, di solito, si fa coincidere con l’abrogazione dell’articolo 18 della legga 300 del 1970, meglio conosciuta come Statuto dei lavoratori. Lo Statuto, storicamente, è un punto di compromesso che definisce alcune limitare tutele davanti all’esercizio di un potere assoluto. L’articolo 18, dopo decenni di lotte e rivendicazioni durissime, arrivò a riconoscere una tutela molto forte per il lavoratore ingiustamente licenziato. Un diritto, tuttavia, esercitabile solo da operai  e impiegati dipendenti da unità produttive di una certa consistenza numerica che corrispondevano alle grandi industrie e al loro indotto. Una buona parte degli occupati non ha mai potuto usufruire di questo deterrente che consiste nella possibilità, in caso di vittoria in giudizio, di farsi riconoscere il reintegro nel posto di lavoro da parte del giudice. Di solito, se non si vive di rendita, il lavoro vuol dire diritto al pane, cioè all’esistenza libera e dignitosa come dice la Costituzione. Come hanno testimoniato gli operai dell’Eternit di Casale Monferrato, solo con l’introduzione della protezione dell’articolo 18, alcuni di loro hanno trovato la forza di denunciare il pericolo della lavorazione dell’amianto che ha condotto ad un processo ancora in corso per disastro doloso a carico dei proprietari della fabbrica.

Ma nel tempo che cambia, dove anche i matrimoni si possono sciogliere in tempi brevissimi, risulta anacronistico, per alcuni, questo vincolo così stretto e tutto si può definire in termini pecuniari così come è avvenuto per tutti i licenziati non coperti dal diritto alla reintegra. Anche i divorzi, tuttavia, possono essere costosi e mandare uno degli ex  coniugi in mezzo ad una strada, ma nel caso del lavoro le aziende hanno bisogno di un costo massimo da preventivare e perciò le normative monetizzano l’eventuale danno con un definito numero di mensilità. La certezza dell’importo da mettere a bilancio è una regola generale che le assicurazioni applicano quando devono definire il “costo umano” di una persona morta in un incidente in base a parametri complessi in base ai quali arriverà un  maggior rimborso ai familiari di un  manager piuttosto che a quello di un precario.

L’articolo 18 non è stato esteso anche alle aziende più piccole ma è stato ridimensionato nell’applicazione grazie alla riforma introdotta dal governo Monti con il ministro Elsa Fornero. La realtà produttiva inoltre si è configurata in modo tale che anche dove rimangono i capannoni, i lavoratori che continuano ad operare sotto lo stesso tetto sono divisi in una  pluralità di società più piccole con diversi contratti di riferimento e una tutela sempre più ridotta, per cui se qualcuno, come il ministro degli interni Alfano e il presidente della commissione lavoro del Senato Sacconi,  ancora si ostina a chiedere la rimozione totale dell’ostacolo dell’articolo 18, il governo Renzi addita la necessità di non fermarsi ai dettagli per operare sulla struttura dell’intero diritto del lavoro secondo la direttiva tracciata dal giurista e senatore Ichino che ha annunciato su La Stampa dello scorso 14 luglio l’ormai imminente accordo sul nuovo codice del lavoro che riduce la complessità della normativa per renderla comprensibile anche ai tanto attesi investitori stranieri. In attesa di conoscere, ad esempio, il pensiero delle conglomerate indiane che stanno per acquistare a prezzi attraenti le acciaierie di Taranto e Piombino, il perno del nuovo sistema consisterà, comunque, nel facilitare l’entrata e l’uscita dal lavoro garantendo un adeguato servizio di ricollocazione dei licenziati. Resterebbe solo il contratto unico a tutele crescenti nel senso che col progredire dell’anzianità del contratto aumenta il costo del licenziamento. L’altra ipotesi del contratto a garanzie progressive , proposto da Boeri e Garibaldi, prevede invece, dopo un periodo di tre anni, il ritorno in vita dell’articolo 18 nella versione più blanda voluta dalla Fornero.

Due tesi molto diverse tra di loro che devono fare i conti con il decreto dell’attuale ministro del Lavoro, Poletti, che ha reso appetibile il contratto a termine estendendo fino a tre anni la mancanza della motivazione nella stipula e la libertà di rinnovo. Il conflitto di convenienza tra il contratto a tutele crescenti e quello a termine si dovrebbe risolvere, secondo l’intervista  rilasciata dallo stesso ministro al Corsera del  17  agosto, con gli incentivi fiscali e contributivi da trovare a favore del rapporto più stabile. In questo dibattito si è inserita anche l’intervista di Repubblica del 13 agosto a Pierre Carniti. Il vecchio sindacalista della Cisl, del tempo della Cgil di Lama, ha osservato la stranezza del ragionamento in base al quale per « affrontare la crisi per mancanza di lavoro si parta dall'articolo 18» aggiungendo che « Il lavoro va creato, vanno promossi gli investimenti. Lo Statuto dei lavoratori va aggiornato ma l'aggiornamento dovrebbe servire per aumentare le tutele anche a chi oggi è precario. Oggi metà dei lavoratori italiani vive senza le tutele dello Statuto e non mi pare che questo abbia posto le premesse per una vigorosa crescita dell'economia». 

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