Parlando di Medio Oriente alle Olimpiadi

Sono state 35 le medaglie conquistate (9 ori, 7 argenti e 19 bronzi) a Tokyo dai Paesi dell’area Mena (Medio Oriente – Nord Africa), e alcune di peso specifico considerevole se consideriamo gli atleti di Paesi alle prese con problemi ben più pesanti della carenza (o assenza) di strutture sportive.
Da sinistra, Tareg Hamedi dell'Arabia Saudita (medaglia d'argento), Sajad Ganjzadeh dell'Iran (medaglia d'oro), Ugur Aktas della Turchia e Ryutaro Araga del Giappone (entrambi medaglia di bronzo) durante la cerimonia di consegna di karate kumite maschile +75kg alle Olimpiadi estive 2020, sabato, 7 agosto 2021, a Tokyo, Giappone. (AP Photo/Vincent Thian)

Difficile cogliere dall’ottica del numero di medaglie la presenza mediorientale e nordafricana (Regione Mena, Iran escluso perché considerato con l’Asia) alle Olimpiadi appena concluse.

Alcuni esempi indicativi di partecipazione “nonostante-tutto”: il Libano ha inviato una delegazione di 6 atleti (3 uomini e 3 donne) e la Palestina ne ha inviati 5, tra loro anche uno proveniente da Gaza, con l’unica aspirazione realistica di sfilare insieme a tutte le nazioni partecipanti portando la propria bandiera.

Tra le delegazioni più consistenti, quella egiziana, forte di 250 partecipanti. E accanto quella israeliana con 89 atleti, il doppio di quelli che andarono a Rio 2016.

Le delegazioni nazionali mediorientali-nordafricane medagliate sono state 11: Turchia (13 medaglie), Israele (4), Qatar (3), Egitto (6), Tunisia (2), Marocco (1), Giordania (2), Bahrein (1), Arabia S. (1), Kuwait (1) e Siria (1). E nel medagliere olimpico sono comprese fra il 35° posto della Turchia e l’86° e ultimo di Kuwait e Siria (1 bronzo ciascuno).

Sì, perché a Tokyo c’era anche una delegazione siriana di 6 atleti. Il bronzo siriano è andato a Man Asaad (sollevamento pesi), ma c’era anche un’atleta siriana che non ha vinto nulla ma merita molto più di una medaglia. Si tratta di Hend Zaza, 12 anni, la più giovane atleta olimpica di Tokyo 2020. Partecipava per il ping-pong ed ha perso alla prima qualificazione contro Liu Jia, 39 anni, cinese di nazionalità austriaca, che è stata campionessa europea nel 2005, 4 anni prima che Zaza nascesse ad Hama, una delle città siriane più martoriate dalla guerra. Un’altra atleta siriana, che ha gareggiato nel nuoto senza vincere medaglie, è Yusra Mardini. Ventitreenne di Damasco (pratica il nuoto da quando di anni ne aveva 3), non faceva parte della delegazione siriana, perché è fuggita dalla Siria insieme ad una sorella nel 2015 e, dopo aver salvato da sicuro naufragio i compagni di sventura vicino a Lesbo, è arrivata in Germania attraverso la rotta balcanica. A Tokyo 2020 gareggiava con la squadra dei rifugiati (una “nazione” con 80 milioni di cittadini).

Sono solo esempi, ma lasciano intendere che la tradizionale partecipazione ai Giochi olimpici di atleti inseriti in squadre nazionali si sta evolvendo molto. Tokyo 2020 ha evidenziato che ormai anche le Olimpiadi sono sempre più globalizzate: il concetto di nazionalità corrisponde sempre meno all’etnia e sempre più alla cittadinanza. E se questo vale in particolare per atleti etnicamente di origine asiatica o africana, è vero anche per quelli di origine mediorientale e nordafricana.

Considerando però il concetto tradizionale di delegazione nazionale, anche gli atleti di provenienza o origine mediorientale e nordafricana inseriti in formazioni di altri continenti raccontano molto dell’attualità e universalità dello spirito olimpico, capace di andare oltre fratture ritenute senza speranza e accogliere il melting pot di un mondo inesorebilmente sempre più globalizzato.

Per quanto riguarda il medagliere di Tokyo 2020, è evidente che la maggior parte delle medaglie se la sono assicurata i Paesi più ricchi: Usa, Cina e Giappone, che dei 339 ori assegnati a Tokyo ne hanno conquistati circa 80 (quasi un quarto), oltre ad un quinto delle più di mille medaglie messe in palio tra le 206 squadre (204 nazionali e 2 Comitati, quello russo e quello dei rifugiati). Ma i conti si possono fare in molti modi: se si considera per esempio l’Unione europea come una realtà unica, le 286 medaglie che ha conquistato sono molte di più di quelle vinte da Usa e Cina. E in questo scombussolamento dei calcoli (e delle prospettive), anche le 35 medaglie portate a casa dai Paesi Mena possono mostrare molti significati, che lasciano intravedere, fra l’altro, anche qualche spiraglio umano nelle logiche di contrapposizione dove la speranza può soltanto soccombere di fronte al potere e all’ideologia.

La fotografia del medagliere di Tokyo 2020 racconta che un numero sempre più largo di nazioni ha accesso al podio olimpico: sono di 86 Paesi del mondo gli atleti che vi sono saliti. E quelli di origine mediorientale presenti nelle delegazioni nazionali di vari continenti erano numerosi come non era mai avvenuto.

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