Il papa e lo sport

«Solo se rimane un gioco fa bene al corpo e allo spirito». La responsabilità sociale degli sportivi. Non accontentarsi di un pareggio mediocre…

«Francesco…». E il mondo rimase in sospeso per alcuni interminabili attimi: come non ricordare quel 13 marzo 2013, nel quarto anniversario dell’elezione di Papa Francesco. Una data indimenticabile anche per il mondo dello sport, data l’attenzione e la passione riservata dal pontefice in questi anni agli atleti delle più variegate possibilità e caratteristiche, impegnati in molteplici discipline. Molti e intensi gli spunti, che non possiamo esimerci dal ricordare almeno in parte in questo giorno.

“Un’attività di grande valore”
Tra le riflessioni più recenti, pronunciata il 5 ottobre 2016 in occasione dell’incontro promosso in aula Paolo VI dal pontificio consiglio della cultura su sport e fede, l’accento sullo sport «capace di arricchire la vita delle persone, di cui possono fruire e gioire uomini e donne di ogni nazione, etnia e appartenenza religiosa. Proprio in questi ultimi mesi – affermò il Papa – abbiamo visto come i Giochi Olimpici e Paralimpici sono stati al centro dell’attenzione del mondo intero. Il motto olimpico “altius, citius, fortius” è un invito a sviluppare i talenti che Dio ci ha dato. Quando vediamo gli atleti tendere al massimo delle proprie capacità, lo sport ci entusiasma, ci meraviglia, ci fa sentire quasi orgogliosi. C’è una grande bellezza nell’armonia di certi movimenti, come pure nella forza o nel gioco di squadra. Quando è così, lo sport trascende il livello della pura fisicità e ci porta nell’arena dello spirito e addirittura del mistero».

Cari ragazzi, rimanga un gioco… per la vita!
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Solo se rimane un gioco fa bene al corpo e allo spirito» affermò Francesco il 7 giugno 2014 in occasione dell’incontro con il Centro Sportivo Italiano in piazza San Pietro. «E proprio perché siete sportivi, vi invito non solo a giocare, come già fate, ma c’è qualcosa di più: a mettervi in gioco nella vita come nello sport. Mettervi in gioco nella ricerca del bene, nella Chiesa e nella società, senza paura, con coraggio ed entusiasmo. Mettervi in gioco con gli altri e con Dio; non accontentarsi di un “pareggio” mediocre, dare il meglio di sé stessi, spendendo la vita per ciò che davvero vale e che dura per sempre. Non accontentarsi di queste vite tiepide, vite “mediocremente pareggiate”: no, no! Andare avanti, cercando la vittoria sempre! Nelle società sportive si impara ad accogliere. Si accoglie ogni atleta che desidera farne parte e ci si accoglie gli uni gli altri, con semplicità e simpatia. Invito tutti i dirigenti e gli allenatori ad essere anzitutto persone accoglienti, capaci di tenere aperta la porta per dare a ciascuno, soprattutto ai meno fortunati, un’opportunità per esprimersi».

Tutti possano accedere allo sport!
Sono numerose le occasioni in cui Papa Francesco ha ricordato tanti bambini e ragazzi lasciati ai margini della società. «Tutti conosciamo l’entusiasmo dei bambini che giocano con una palla sgonfia o fatta di stracci nei sobborghi di alcune grandi città o nelle vie dei piccoli paesi. Vorrei incoraggiare tutti, istituzioni, società sportive, realtà educative e sociali, comunità religiose, a lavorare insieme affinché questi bambini possano accedere allo sport in condizioni dignitose, specialmente quelli che ne sono esclusi a causa della povertà», affermò sempre lo scorso 5 ottobre.

Voi siete molto popolari…
«La gente vi segue molto – disse invece rivolgendosi alle nazionali di calcio di Italia e Argentina il 13 agosto 2013 –. Non solo quando siete in campo ma anche fuori. Questa è una responsabilità sociale! Mi spiego: nel gioco, quando siete in campo, si trovano la bellezza, la gratuità e il cameratismo. Se a una partita manca questo perde forza, anche se la squadra vince. Non c’è posto per l’individualismo, ma tutto è coordinazione per la squadra. Forse queste tre cose: bellezza, gratuità, cameratismo si trovano riassunte in un termine sportivo che non si deve mai abbandonare: ‘dilettante’, amateur. E’ vero che l’organizzazione nazionale e internazionale professionalizza lo sport, e dev’essere così, ma questa dimensione professionale non deve mai lasciare da parte la vocazione iniziale di uno sportivo o di una squadra: essere amateur, ‘dilettante’. Uno sportivo, pur essendo professionista, quando coltiva questa dimensione di “dilettante”, fa bene alla società, costruisce il bene comune a partire dai valori della gratuità, del cameratismo, della bellezza».

Ognuno nel proprio campo…
«Cari amici, prego per voi – disse nella stessa occasione –. Che possiate portare avanti questa vocazione così nobile dello sport. […] E per favore, vi chiedo che preghiate per me, perché anch’io, nel “campo” in cui Dio mi ha posto, possa giocare una partita onesta e coraggiosa per il bene di tutti noi. Grazie».

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