Il papa e il lavoro per la persona

Il pontefice, nel suo discorso ai delegati Cisl, ha toccato diversi temi inerenti il mondo del lavoro; sottolineando in particolare il suo legame con la dignità della persona e la necessità di opreare nelle "periferie esistenziali" degli "scartati dal lavoro"
PAPA

Nei media è passato un po’ come il discorso del pontefice contro pensioni d’oro e pensioni che non arrivano mai, e giovani disoccupati perché i “vecchi” non lasciano il loro posto di lavoro o non vengono sostituiti: ma il discorso di papa Francesco ai delegati Cisl lo scorso 28 giugno ha naturalmente avuto un respiro molto più ampio, e toccato diversi altri temi inerenti il mondo del lavoro.

Il papa ha iniziato – dato che il titolo del congresso Cisl in corso è “Per la persona”, per il lavoro” – osservando che «Persona e lavoro sono due parole che possono e devono stare insieme. Perché se pensiamo e diciamo il lavoro senza la persona, il lavoro finisce per diventare qualcosa di disumano, che dimenticando le persone dimentica e smarrisce sé stesso. Ma se pensiamo la persona senza lavoro, diciamo qualcosa di parziale, di incompleto, perché la persona si realizza in pienezza quando diventa lavoratore, lavoratrice; perché l’individuo si fa persona quando si apre agli altri, alla vita sociale, quando fiorisce nel lavoro». Un lavoro definito come «forma più comune di cooperazione» e «forma di amore civile», per ricordando che «la persona non è solo lavoro».

Citando quindi la necessità di dedicare il giusto tempo alla famiglia e al riposo, la piaga del lavoro minorile e quella dei lavoratori esclusi perché ammalati o non perfettamente “efficienti”, il papa ha parlato – oltre che del diritto al lavoro – del «diritto a una giusta pensione – giusta perché né troppo povera né troppo ricca: le “pensioni d’oro” sono un’offesa al lavoro non meno grave delle pensioni troppo povere, perché fanno sì che le diseguaglianze del tempo del lavoro diventino perenni». E oltre che contro queste disuguaglianze, Francesco ha puntato il dito contro «una società stolta e miope […] che costringe gli anziani a lavorare troppo a lungo e obbliga una intera generazione di giovani a non lavorare quando dovrebbero farlo per loro e per tutti. Quando i giovani sono fuori dal mondo del lavoro, alle imprese mancano energia, entusiasmo, innovazione, gioia di vivere, che sono preziosi beni comuni che rendono migliore la vita economica e la pubblica felicità. È allora urgente un nuovo patto sociale umano, un nuovo patto sociale per il lavoro, che riduca le ore di lavoro di chi è nell’ultima stagione lavorativa, per creare lavoro per i giovani che hanno il diritto-dovere di lavorare».

Il papa ha identificato quelle che, a suo modo di vedere, sono le due sfide principali per il mondo sindacale: la profezia – intesa in senso biblico come capacità di vedere lontano e di dare voce a chi non ce l’ha, rifuggendo certe somiglianze con i partiti politici che hanno invece una dimensione diversa – e l’innovazione, strettamente connessa con la profezia, come capacità di “stare in guardia” proteggendo non soltanto i diritti acquisiti ma anche quelli di chi ancora non se li è visti riconoscere.

Strettamente connessa con queste considerazioni è quindi l’affermazione che «il capitalismo del nostro tempo non comprende il valore del sindacato, perché ha dimenticato la natura sociale dell’economia, dell’impresa. Questo è uno dei peccati più grossi. Economia di mercato: no. Diciamo economia sociale di mercato, come ci ha insegnato San Giovanni Paolo II […]. L’economia ha dimenticato la natura sociale che ha come vocazione la natura sociale dell’impresa, della vita, dei legami e dei patti. Ma forse la nostra società non capisce il sindacato anche perché non lo vede abbastanza lottare nei luoghi dei “diritti del non ancora”: nelle periferie esistenziali, tra gli scartati del lavoro». Quelle pietre di scarto che, la Bibbia insegna, diventano “pietre angolari”.

Pregnante, infine, la considerazione sull’etimologia della parola “sindacato”: «proviene dal greco “dike”, cioè giustizia, e “syn”, insieme: syn-dike,“giustizia insieme”. Non c’è giustizia insieme se non è insieme agli esclusi di oggi».

 

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