Papa Francesco, uomo del dialogo

Questo gesuita argentino diventato papa sta insegnando agli uomini e alle donne di oggi che è possibile essere arricchiti da chiunque incontriamo se siamo coscienti che il nostro pensiero non è né unico né superiore a quello degli altri
Papa Francesco e Papa Tawadros in un incontro a Roma

La parola "dialogo" è senza dubbio una delle chiavi del pontificato di papa Bergoglio. Francesco l’ha coniugata a diversi livelli, socio-religiosi, geografici, umani e spirituali. Di fatto, con quel «Buona sera» augurato alle migliaia di persone che erano in piazza San Pietro la sera del 13 marzo del 2013 ha iniziato un dialogo con uomini e donne di ogni continente, di tutti i ceti sociali, ma anche di qualsiasi credo o cultura, di ciascuna etnia. In breve non ha escluso nessuno.

 

Senza dubbio, un'attenzione particolare l’ha avuta verso coloro che credono diversamente dai cattolici e anche verso quanti non hanno un preciso riferimento religioso. Il papa argentino si è posto in una linea di continuità con i suoi predecessori e, come ha fatto notare mons. Miguel Ayuso Guixot, segretario del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso, attraverso il dialogo con il mondo di Paolo VI, il dialogo della pace di Giovanni Paolo II, e il dialogo della carità nella verità di Benedetto XVI, siamo giunti, in cinquant’anni, alla sfida del “dialogo dell’amicizia”, annunciato da Francesco.

 

I segni di questa novità nella continuità sono arrivati pochi giorni dopo l’elezione al soglio pontificio. Nel suo primo incontro con rappresentanze di altre Chiese e Comunità ecclesiali, del mondo ebraico e delle grandi tradizioni religiose, il papa argentino ha lanciato segni importanti e inequivocabili su quella che sarebbe stata la sua road map. Lo ha fatto con gesti significativi: per quell’incontro non ha voluto essere su una pedana al di sopra degli altri, si è rivolto al patriarca Bartolomeo chiamandolo "fratello". Ma ai gesti hanno fatto seguito affermazioni chiare che non hanno lasciato dubbi: «La Chiesa cattolica è consapevole dell’importanza che ha la promozione dell’amicizia e del rispetto tra uomini e donne di diverse tradizioni religiose».

 

Dialogo dell’amicizia, quindi, quello che Bergoglio propone, ma tutt’altro che semplicista o buonista. Infatti, nella Evangelii Gaudium ha precisato con forza che il «dialogo interreligioso è una condizione necessaria per la pace nel mondo, e pertanto è un dovere per i cristiani, come per le altre comunità religiose (EG 250)». Per questo invita a un «dialogo tenace, paziente, forte e intelligente per il quale nulla è perduto». Si tratta di affermazioni forti, che, nel tipico stile bergogliano sono sempre state accompagnate da atti concreti che hanno trasmesso un messaggio altrettanto diretto e preciso. Il papa che si abbraccia con un rabbino e un imam davanti al Muro del Pianto a Gerusalemme è forse l’immagine più emblematica di questo impegno, come lo sono state quelle del recente incontro con il patriarca di Mosca Kirill all’aeroporto de L’Avana a Cuba e il suo attendere il papa copto-ortodosso, Tewadros, fuori del portone della sua residenza a Santa Marta.

 

Ma in tre anni i gesti di amicizia e fraternità che papa Francesco ha lanciato a persone di diverse Chiese, di altre religioni e a coloro che affermano di non credere non si contano più. Fra tutti mi sembra importante ricordare la sua visita lampo a Caserta, dove si svolgeva un convegno di evangelici,e un suo messaggio registrato senza troppa preparazione sul cellulare per un gruppo di pentecostali. Si tratta di novità assolute all’interno della Chiesa cattolica, un segno di apertura alla possibilità di dialogare con tutti, anche con coloro con cui sembra più problematico, spesso, a causa di questioni teologiche.

 

Poche righe non permettono di esaurire uno studio sistematico della ricchezza del relativamente giovane papato bergogliano in termini di dialogo. Un aspetto che mi pare fondamentale è la capacità di papa Francesco di trasmettere un messaggio chiaro: il dialogo con cristiani di diverse Chiese e con fedeli di altre tradizioni religiose come di uomini e donne che non hanno una fede non è né una strategia né una tecnica nascosta. Tuttavia, dialogare presuppone un'identità formata. Senza di essa il dialogo è inutile o dannoso, afferma Bergoglio.

 

Da qui la coscienza che  affinché tale «incontro sia efficace, deve fondarsi su una presentazione piena e schietta delle nostre rispettive convinzioni. […] Infatti, se siamo onesti nel presentare le nostre convinzioni, saremo in grado di vedere più chiaramente quanto abbiamo in comune». Identità, quindi, nel lessico del papa sudamericano, non va a scapito dell’amicizia, anzi sembra un binomio fondamentale la cui condizione è la capacità di empatia, il sentire come l’altro sente e vede. A questo proposito, troviamo uno dei passi più belli del magistero bergogliano: «Perché ci sia dialogo, dev’esserci questa empatia. La sfida che ci si pone è quella di non limitarci ad ascoltare le parole che gli altri pronunciano, ma di cogliere la comunicazione non detta delle loro esperienze, delle loro speranze, delle loro aspirazioni, delle loro difficoltà e di ciò che sta loro più a cuore. Tale empatia ci porta a vedere gli altri come fratelli e sorelle, ad “ascoltare”, attraverso e al di là delle loro parole e azioni, ciò che i loro cuori desiderano comunicare».

 

A conclusione, una parola sulla radice, la chiamerei gesuitica e ignaziana, di questi atteggiamenti del papa. Bergoglio ha spesso parlato del "pensiero incompleto". Non è possibile ascoltare l’altro e apprezzarne l’esperienza e la ricchezza umana, religiosa e culturale se si pensa che il proprio pensiero, la propria cultura, siano unici e superiori. Questo gesuita argentino diventato papa sta insegnando agli uomini e alle donne di oggi che è possibile essere arricchiti da chiunque incontriamo a patto che siamo coscienti che il nostro pensiero resta limitato e incompleto.

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