Il papa del dialogo

In Thailandia e Giappone Francesco ha coniugato in maniera magistrale il binomio ‘missione’ e ‘dialogo’. Una Chiesa debole e disarmata, apre il suo abbraccio, rispetto e sorriso a tutti.

Si è concluso da poche ore il viaggio in Asia di papa Francesco. Scegliamo una chiave di lettura fra le tante possibili. Francesco, infatti, ha abbinato due contesti culturali – Thailandia e Giappone – che solo ad uno sguardo distratto potrebbero apparire simili o analoghi perché legati alla tradizione buddhista. I due Paesi, certo, si trovano in Asia, ma sono distanti anni luce l’uno dall’altro.

La tradizione buddhista theravada, nel sud-est asiatico, ha ben poco da condividere con quella mahayana del Sol Levante, che, oltretutto, si è radicata su un retaggio shinto, di forte impressione shamanica.

Inoltre, da un punto di vista sociale, sebbene a livello economico la Thailandia sia stata una delle ‘tigri dell’Asia’ e le sue città – particolarmente Bangkok – siano immagine della globalizzazione rampante che caratterizza tutto il sud-est asiatico, il Paese ha ancora sacche di povertà endemiche a fronte, invece, del Giappone che vive uno stile di vita avanzatissimo ed un progresso che, anche se caratterizzato da rallentamenti, resta uno dei primi al mondo.

Non possiamo dimenticare, infine, che il Giappone, per via dei trascorsi drammatici che hanno segnato la conclusione della Seconda Guerra Mondiale con le esplosioni nucleari di Hiroshima e Nagasaki, è il centro nevralgico del dibattito sul ‘nucleare’, in particolare dopo i tragici eventi recenti di Fukushima e il contenzioso politico interno sulla modifica dell’articolo 9 della Costituzione che prevede che il Paese rifiuti la guerra come modalità di soluzione di tensioni e conflitti. Inoltre, il Giappone non è fra i firmatari dell’accordo del 2017 sulla non-proliferazione delle armi nucleari.

Ma ci sono anche aspetti che accomunano i due Paesi. Innanzi tutto, entrambe le nazioni sono governate da un sistema regale o imperiale che, sebbene molto diversi da quanto apparivano essere in passato, restano caratteristici della vita nazionale. La Thailandia ha appena visto la salita al trono di un nuovo re, tutt’altro che apprezzato a fronte invece del padre che per quasi settant’anni ha governato questa parte dell’antico Siam con sapienza e cura per il popolo, tanto da essere considerato un vero padre della nazione. In Giappone è appena iniziata la nuova ‘era Reiwa’ con la salita al trono dell’imperatore Naruhito in un clima che si è spogliato di gran parte della sacralità da cui era avvolto l’imperatore fino all’epoca di Hirohito, nonno dell’attuale regnante.

Dal punto di vista ecclesiale, invece, c’è una forte comunanza fra i due Paesi: la dimensione esigua, in termini numerici, delle comunità cristiane, in particolare di quella cattolica. In entrambi non si arriva all’1% e, in Giappone, addirittura, il numero dei battezzati locali è inferiore a quello di cattolici provenienti dall’estero. Infine, in entrambi questi contesti socio-culturali, sia pure per motivazioni e con reazioni diverse, la politica missionaria cristiana è passata come acqua su una superficie pressoché impermeabile arrivando a provocare, anche se per motivi politici e coloniali, la chiusura del Giappone al resto del mondo, per ben due secoli.

In tale contesto, la visita di un papa è sempre un evento delicato. In Asia, infatti, il cristianesimo è ancora largamente percepito come religione ‘straniera’ e dedita al ‘proselitismo’. Allora, forse, proprio qui sta una delle chiavi per leggere l’originalità e il valore del viaggio di papa Francesco.

Bergoglio, infatti, nel corso della settimana in entrambe le tappe ha saputo coniugare in maniera magistrale il binomio ‘missione’ e ‘dialogo’, due parole dal destino difficile inflazionate e manipolate al punto che è difficile recuperarne il significato originale. È bene ricordare come i due termini abbiano a che fare con il mondo e la storia dei gesuiti a partire dalla spinta evangelizzatrice di Ignazio e dei suoi primi compagni – specialmente quel Francesco Saverio – per arrivare al dialogo che la congregazione ha mostrato fin dai tempi antecedenti al Concilio Vaticano II e che si è, poi, rivelato scelta prioritaria dopo la conclusione dell’assise universale della Chiesa cattolica. Inoltre, i termini risentono di influenze esterne che li hanno coniugati ad altri elementi: colonialismo ed imposizione il primo e ‘buonismo’ o ‘compromesso con la Verità’ e relativismo il secondo. La tensione fra le due dimensione è tuttora forte anche all’interno della Chiesa cattolica.

Questa nuova esperienza asiatica di papa Francesco pare aver chiarito ulteriormente la nuova piattaforma, sulla quale dialogo e missione trovano un richiamo reciproco, lontano da sincretismi, capace di coinvolgere cristiani, buddhisti e credenti o non-credenti di altre religioni in un impegno condiviso per il bene comune, per la giustizia e per la pace, partendo dalla salvaguardia dei diritti degli uomini, delle donne e dei bambini ed una attenzione alla ‘casa comune’.

Bergoglio – soprattutto in Thailandia ma anche in Giappone – ha costantemente parlato di missione e missionari e, allo stesso tempo, ha realizzato due incontri di carattere interreligioso di importanza fondamentale: la visita al Patriarca Supremo del Buddhismo theravada, tipico del sud-est asiatico, e la mattinata con i leader di diverse religioni presenti in Thailandia. In Giappone, oltre ad incontrare leader delle diverse religioni, li ha ascoltati come suoi interlocutori.

Fra i giovani e i sopravvissuti ai disastri nucleari che gli hanno parlato alcuni erano buddhisti, addirittura monaci. Con incontri, gesti, ascolto e parole, Francesco ha testimoniato la consapevolezza che «l’evangelizzazione non è accumulare adesioni né apparire potenti, ma aprire porte per vivere e condividere l’abbraccio misericordioso e risanante di Dio Padre che ci rende famiglia». La Chiesa, un tempo convinta che non ci fosse salvezza se non per chi era parte formale di essa, si presenta oggi debole e disarmata come il suo rappresentante sommo, che appare con un incedere barcollante e fragile, ma apre il suo abbraccio, rispetto e sorriso a tutti.

Fedele a quella teologia del popolo che lo contraddistingue, anche in Asia Francesco ha ricordato che, come cristiani, «anche noi siamo parte di questo popolo; non siamo i padroni, siamo parte del popolo; siamo stati scelti come servitori». Da qui le parole e l’atteggiamento di profondo rispetto per queste culture. Il ‘popolo del sorriso’ – riconosce Bergoglio parlando ai thai – affonda le sue radici nelle «fonti del buddismo [alle quali] la maggioranza dei tailandesi si sono abbeverati e hanno permeato la loro maniera di venerare la vita e i propri anziani, di condurre uno stile di vita sobrio, basato sulla contemplazione, sul distacco, sul lavoro duro e sulla disciplina».

In Giappone, ha «apprezzato il prezioso patrimonio culturale che [il Paese], nel corso di molti secoli di storia, è stato in grado di sviluppare e preservare, e i profondi valori religiosi e morali che caratterizzano questa antica cultura».

Sempre più Bergoglio, facendosi pellegrino ‘fra le genti’ pare spostare il paradigma della missione: non più ‘verso le genti’ (ad gentes), ma ‘con le genti’. Missione e dialogo nella loro specificità si manifestano come vera espressione della stessa dimensione della Chiesa in uscita al fine di «promuovere tra i fedeli delle nostre religioni lo sviluppo di nuovi progetti di carità, capaci di generare e incrementare iniziative concrete sulla via della fraternità, specialmente con i più poveri, e riguardo alla nostra tanto maltrattata casa comune».

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