Pandemia e società, andrà tutto bene?

Pandemia da Coronavirus. Da alcuni mesi, ad esempio, l'esito del contagio sui pazienti più vulnerabili è in costante miglioramento. Tuttavia, le stesse evidenze ci dicono che la pandemia non ha alcuna intenzione di mollare. Alcune lezioni dalla storia
Pandemia AP Photo/Antonio Calanni

Dopo le restrizioni imposte dalla pandemia, il 3 settembre anche Alessandro Barbero, storico con un delizioso talento per la divulgazione, è tornato a parlare in pubblico, in occasione di “Attraverso Festival” a Monforte d’Alba, a proposito della peste nella storia.

L’argomento è considerato “di stretta attualità”, ma non perché studiando il passato si possa prevedere il futuro: lo stesso professore definisce la storia “uno sterminato catalogo dei comportamenti umani”; come a dire che, se c’è qualcosa che si ripete ciclicamente, è la dabbenaggine degli uomini.

Rimane innegabile che, dinanzi ai momenti più difficili, cerchiamo conforto nelle esperienze passate e che la storia, in effetti, è nata con questo scopo. Di fronte ad una crisi inaspettata, ad un problema nuovo, da sempre ci si raduna intorno ai vecchi e si chiede loro se quel che sta capitando oggi sia mai successo prima, e come ne siamo venuti fuori.

Uno studioso dei popoli delle isole indonesiane ha scoperto una tribù che usava una parola per descrivere un particolare tipo di fungo, innocuo ma di scarso valore nutrizionale; il lemma suona come “cibo da mangiare solo dopo un’inondazione“.  Quella gente aveva affrontato diversi tsunami che, distruggendo i campi coltivati, avevano ridotto la popolazione alla fame. Solo i gruppi che si ricordavano di quel poco invitante fungo, da usare alla disperata come cibo, sono sopravvissuti ai cataclismi.

La storia è una sorta di selezione naturale della cultura: tramandare narrazioni e tradizioni permette di superare l’orizzonte della memoria dei singoli individui, accumulando nei secoli un patrimonio di risposte adattative che hanno permesso all’uomo di vivere in un ambiente in continua trasformazione, per lo più ostile.

Con l’evoluzione tecnologica ciò che cerchiamo oggi nel passato è cambiato: in tempi di pandemia, dalla letteratura del XIV secolo non ci aspettiamo più informazioni cliniche ed epidemiologiche utili ad affrontare l’emergenza (mentre a Costantinopoli lo fecero, nel 1347, i medici della corte imperiale, risalendo indietro di otto secoli fino alla peste di Giustiniano per trovare un caso similare).

Eppure, quel mondo, che ancor più del nostro fu colto di sorpresa e scombussolato da una emergenza sanitaria inaudita, imprevedibile e devastante, ci parla ancora da vicino. La peste del medioevo si è abbattuta su una società in continua crescita economica e culturale, abituata a guardare con ottimismo al futuro e nella quale le condizioni di vita erano in costante miglioramento da mezzo millennio.

Oggi la pandemia ha già modificato il nostro modo di vivere: ma ancora tendiamo a pensare che sia una cosa temporanea, una serie di misure straordinarie che servono per superare l’emergenza, da archiviare subito dopo. Tuttavia, più passa il tempo, più ci rendiamo conto che la situazione potrebbe non risolversi con un semplice ritorno alla vita di prima.

In queste settimane le evidenze scientifiche ci dicono che siamo più preparati a gestire coloro che si ammalano e i loro contatti. Da alcuni mesi, ad esempio, l’esito del contagio sui pazienti più vulnerabili è in costante miglioramento: effetto senz’altro dovuto ad una migliore conoscenza del numero reale di casi (così che la proporzione di malati più gravi si riduce, perché adesso conosciamo il numero degli asintomatici). Ma anche, indubbiamente, alla tempestività della presa in carico e alla disponibilità di cure efficaci per i pazienti più gravi.

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Fonte: F. Voller – dati Agenzia Regionale di Sanità su pazienti Regione Toscana, 24 settembre 2020

Tuttavia, le stesse evidenze ci dicono che la pandemia non ha alcuna intenzione di mollare: il coronavirus si muove con noi e farà parte del nostro patrimonio microbiologico fino a quando (e se) si troverà una cura o un vaccino che lo debellerà. Per ora, è un gioco allo specchio, come quelli che fanno i bambini: se ci fermiamo, la sua diffusione rallenta; se ricominciamo a circolare, a vivere, i numeri del contagio crescono.

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Nel grafico trend nuovi positivi dal 15 luglio

E dunque, che fare? Come trovare il giusto equilibrio fra le conseguenze devastanti del blocco totale delle attività sociali (unica riposta possibile nella prima fase dell’emergenza) e una irresponsabile indifferenza alle conseguenze del riprendere la vita esattamente com’era prima del COVID?

Più passano i mesi di questo anno difficile, più mi convinco che qualche lezione utile la possiamo trarre dal catalogo della storia. Lasciando da parte numeri, trend e previsioni, si possono intravedere delle priorità su cui vale la pena di concentrare i nostri sforzi.

Anzitutto, ci sono delle misure utili per contenere i contagi e rallentare la diffusione del virus, che permettono anche di continuare la vita sociale e lavorativa senza particolari problemi; lavarsi le mani, usare semplici protezioni e un po’ di distanziamento fisico ha un effetto significativo sulla diffusione del virus e non solo, permette anche di ridurre l’impatto di molte altre devastanti malattie infettive, comunitarie e ospedaliere. Su queste cose è ora di investire decisamente e, se serve, di essere rigidi.

Dall’altra parte ci sono delle misure di non provata efficacia, il cui effetto è controverso, e che spesso adoperiamo seguendo pedissequamente un principio di massima precauzione, per ragioni burocratiche e difensive, o per l’inerzia nel recepire le evidenze scientifiche da parte delle istituzioni. Conseguenza di questo atteggiamento sono le difficoltà nell’accordarsi, anche a livello internazionale, sulle misure di restrizione agli spostamenti delle persone e delle merci, sulla definizione di positività e di guarigione, sulla durata della quarantena e della contumacia.

Un eccesso nell’applicare le misure di isolamento e quarantena per perseguire un ipotetico e irrealistico “rischio zero” può avere effetti sociali devastanti, non solo per i risvolti economici e sulla produttività delle imprese, ma anche per le conseguenze sul benessere e sul futuro educativo delle generazioni più giovani e sulla salute dei più fragili.

Va tenuto a mente che la salute è un bene complesso da tutelare, che ha molte sfaccettature e non si esaurisce solo nel prevenire la diffusione delle malattie infettive: i sistemi sanitari devono garantire ai cittadini benessere fisico, psicologico e sociale, e questo non si può fare in un Paese paralizzato da rigide regole burocratiche, o senza tutelare la sicurezza e la dignità dei lavoratori, il diritto allo studio, la prevenzione delle malattie cronico-degenerative.

Ogni chiusura, ogni limitazione alla vita sociale, ogni riduzione delle opportunità di accesso ai servizi deve essere attentamente ponderata perché rischia di portare con sé un incremento della marginalità e delle diseguaglianze, se non è attentamente bilanciata da misure di sostegno e di inclusione.

Abbiamo più volte sostenuto che la cifra di questa crisi sono i diritti in conflitto fra loro: il benessere individuale e la sicurezza collettiva, l’economia e la salute, il controllo sociale e la libertà personale. Nel mondo sono in corso diversi approcci all’emergenza, tenendo in considerazione il complesso bilanciamento fra questi diritti: le differenze di approccio hanno enormi conseguenze sulla vita delle persone e sulla salute delle popolazioni. Ad oggi, nel panorama delle opzioni possibili, non sembra emergere un’univoca risposta giusta.

Quel che è certo è che uscendo da questi prossimi dieci o vent’anni, il mondo avrà compiuto una serie di scelte che condizioneranno lo sviluppo della civiltà globale per un periodo di tempo molto lungo.

Come tanti, anche io coltivo la speranza che coglieremo questa occasione per rimettere al centro della riflessione la persona umana, il valore di ogni singolo individuo, che è sempre prioritario rispetto agli interessi corporativi e dei gruppi di potere.

Solo allora potremo dire, con più convinzione, “andrà tutto bene”.

 

 

 

 

 

 

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