Palestina riconosciuta

Il pronunciamento dell'Unesco rischia di provocare un terremoto in tutta la politica mediorientale. Favorevoli 107 Paesi, scontata la contrarietà degli Stati Uniti
Un manifestante palestinese

Il significato del “riconoscimento” dello Stato della Palestina da parte dell’Unesco è certamente simbolico, ma non per nulla irrilevante. È destinato a provocare un terremoto in tutta la politica mediorentale, con contraccolpi a livello globale. È anzitutto interessante osservare come nell’ampia maggioranza dei Paesi favorevoli (107) vi siano la Cina, l’India, il Brasile, il Sudafrica, la Russia e tutti i Paesi arabi: tutto il fronte dei Paesi emergenti e in transizione, quasi a sancire una sorta di sfida implicita al cosiddetto ordine mondiale.

 

Quanto all’Europa, come nella schedina del totocalcio, ha giocato tutte e tre le possibili opzioni: 1, X, 2; a favore la Francia, contraria la Germania, astenute Italia e Gran Bretagna. Tuttavia il quadro cambia aspetto se si considera che tutti i Paesi mediterranei, con la sola eccezione dell’Italia e del Montenegro (se vogliamo considerarlo un Paese mediterraneo), hanno votato a favore.

 

In campo occidentale, scontata ma non meno grave la posizione contraria degli Stati Uniti; atteggiamento che pare difficile fondare su serie considerazioni di politica internazionale e che sembra rispondere a una logica di gruppi di pressione interni, ai quali nemmeno un deludente Obama è stato capace di sottrarsi. Non ha senso, infatti, continuare a ripetere che la soluzione dei “due popoli, due Stati” deve venire solo da accordi bilaterali. Dalle intese di Oslo in poi, passando per il pomposo ma vacuo vertice di Annapolis nel 2007, lo Stato palestinese non solo non è stato creato attraverso i negoziati diretti, ma vi sono stati sostanziali passi indietro (basti pensare all’esponenziale espansione degli insediamenti israeliani). Insomma, se la comunità internazionale non assicura un impulso, non succede un bel nulla.

 

Da questo punto di vista, l’iniziativa di Abu Mazen di presentare formale domanda di adesione alle Nazioni unite lo scorso 23 settembre, per quanto se ne possa discutere l’opportunità politica, ha avuto quanto meno il merito di smuovere le acque. Lo status quo è durato troppo a lungo, si è trasformato in una strategia politica dilatoria; oggi non è più sostenibile.

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