Palermo, exploit di Leoluca Orlando

Il deputato Idv ha ottenuto il doppio dei voti delle liste che lo sostengono. Al ballottaggio si sfiderà con il candidato del Pd, Ferrandelli. Ma il partito chi dei due sosterrà davvero?
Leoluca Orlando

Il risultato delle amministrative di Palermo è come sempre (perdonate la partigianeria territoriale!) intrigante. Per i motivi che hanno determinato il risultato, ma anche per le ripercussioni che questi risultati stanno già provocando al di fuori dei confini cittadini.
 
Iniziamo con i numeri. Al primo turno si registra la vittoria netta di Leoluca Orlando (già più volte sindaco di Palermo), che sfiora il 48 per cento dei consensi. Orlando ha sfondato il “muro” dei centomila voti. Infatti ben 104mila palermitani gli hanno dato il proprio consenso. Fabrizio Ferrandelli che, come si ricorderà, era risultato vincitore delle contestatissime primarie del centrosinistra, sostenuto dal Partito Democratico e da altre liste civiche, non raggiunge il 18 per cento. Massimo Costa – candidato del Pdl, Grande Sud e Udc – è fermo al 12 per cento; Alessandro Aricò, sostenuto da Futuro e libertà, Movimento per le autonomie e liste civiche, non raggiunge il 9 per cento; Marianna Caronia, sostenuta dal Pid di Saverio Romano, si attesta al 7 per cento, e il “grillino” Riccardo Nuti al 5. I rimanenti cinque candidati non raggiungono l'1 per cento.
 
Per il rinnovo del Consiglio comunale Italia dei valori (formazione nella quale Orlando è deputato nazionale oltre che portavoce), diventa il primo partito in città, superando il Partito democratico (che sosteneva Ferrandelli) e lo stesso Popolo delle libertà che nel decennio precedente aveva raccolto a piene mani il consenso dei palermitani. Una buona affermazione (oltre il 6 per cento) conquistano le liste Ora Palermo, collegata a Ferrandelli, e la lista “Amo Palermo”, di Marianna Caronia.
 
Sotto il 4 per cento il risultato di Futuro e libertà e a un passo dal 5 per cento il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo e la lista La sinistra e gli ecologisti per Palermo. Tiene invece la lista Grande Sud, collegata a Gianfranco Micciché con poco più del 6 per cento e il Movimento per l’autonomia del presidente della regione Raffaele Lombardo, che si attesta al 7 per cento.

La legge regionale approvata l’anno scorso dall’assemblea regionale siciliana e voluta fortemente dal capogruppo del Partito democratico Antonello Cracolici, oggi sostenitore insieme a Giuseppe Lumia del candidato Ferrandelli, prevede uno sbarramento del 5 per cento per le liste in consiglio comunale. Infatti, delle 28 liste presentate, molte sono rimaste fuori. Fra le altre anche le liste vicine al presidente della regione Lombardo: Palermo Avvenire, sostenuta dagli assessori regionali Gaetano Armai e Massimo Russo, e Movimento popolare siciliano, sostenuta dal presidente della commissione bilancio e finanze dell’assemblea regionale, Riccardo Savona.
 
La legge elettorale prevede, inoltre, il voto disgiunto, cioè la possibilità per l’elettore di votare un candidato a sindaco e  un candidato al consiglio comunale anche di un’altra coalizione. Ma potrebbe anche non esprimerlo per niente limitandosi solo a indicare il voto per il sindaco. Una legge, si diceva, approvata l’anno scorso, voluta dal gruppo parlamentare Pd, e che ha premiato esclusivamente il candidato Orlando che fra tutti è quello che ha preso più voti rispetto alla sua coalizione. Quasi metà dei voti ricevuti, infatti, sono stati espressi senza indicare nessun candidato consigliere. Tutti gli altri candidati, incluso Ferrandelli, hanno preso meno voti rispetto alle loro coalizioni. È sufficiente per riflettere? Sembra di sì, se alcuni dirigenti del Partito democratico, e non di secondo piano, iniziano a parlare di errori a Palermo.
 
«A Palermo il Pd potrebbe valutare il sostegno a Leoluca Orlando», dice Anna Finocchiaro, presidente dei senatori democratici in due interviste, una a “Repubblica” e una al “Messaggero”. «In una situazione di quel genere – incalza la Finocchiaro – con il consenso ottenuto da Orlando e con i nostri errori, sarebbe da far prevalere la vittoria del centrosinistra su altre logiche: tanti elettori del Pd e del centrodestra Orlando l’hanno già votato».
 
Un invito raccolto immediatamente dalla deputata palermitana del Pd Alessandra Siragusa, che dice: «Condivido la riflessione della presidente Finocchiaro: penso sia indispensabile una riflessione che fermi la guerra fratricida che ha caratterizzato la campagna elettorale per le amministrative a Palermo. La nostra città ha dato un segnale molto chiaro di cui è indispensabile tenere conto se il Pd vuole riappropriarsi del progetto politico per il quale è nato. L’abbraccio con Lombardo si è rivelato mortale per il Pd ed è urgente prenderne atto».
 
Un altro senatore siciliano, Enzo Bianco, già sindaco di Catania, invita ad una riflessione politica di ampio respiro. «Dal voto emerge – ha detto infatti Bianco – la voglia di cambiamento e la profonda insoddisfazione contro la cattiva politica. Il risultato che sta maturando a Palermo va oltre ogni attesa: Orlando sfiora il successo al primo turno in una tornata elettorale che vede ben 11 candidati sindaci. Prende il doppio dei voti delle liste che lo sostengono…».
 
«Orlando fa il pieno di voti – dice ancora Bianco – anche per la sua chiara posizione contro il sostegno del Pd al governo Lombardo. Un successo che dice chiaramente come le primarie non possono essere usate come unico mezzo per risolvere i problemi politici».
 
E la mafia, in tutto questo, che ruolo ha giocato? La domanda non è priva di fondamento, posto che qualche giorno prima delle votazione il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso aveva lanciato l’allarme del possibile inquinamento mafioso nelle elezioni comunali. A scrutinio concluso c’è una certezza: la mafia in custodia cautelare in carcere – o almeno i presunti mafiosi che i magistrati hanno arrestato – non hanno votato alle comunali di Palermo. Nel carcere Pagliarelli dei 1.400 detenuti, fra detenuti comuni, quelli in alta sorveglianza perché accusati di mafia e quelle della sezione femminile che ancora hanno il diritto di voto, nessuno si è presentato in cabina. E la stessa situazione si è ripetuta nello storico carcere Ucciardone dove sono ospiti soprattutto detenuti per reati più lievi, dove si sono presentati soltanto in quattro per esprimere il voto.
 
Un caso o una scelta organizzata? Una protesta nei confronti della politica o la conseguenza che nessuno ha dato indicazioni di voto? È un fenomeno nuovo e va monitorato con serenità: Cosa Nostra potrebbe non avere – almeno al momento – strutture capaci di dare indicazioni di voto come avveniva in passato.
Se fosse vero, non è anche questo un segnale di cambiamento?

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