Ortega nel mirino dei manifestanti

Un'ondata di proteste senza precedenti nel Paese dell‘America centrale è diventata scenario di morti, rapimenti e rivolte. Che si rivolge contro il presidente
AP Photo/Alfredo Zuniga

Nell’ultimo decennio non c’è nessun evento che possa essere paragonato a quello di questi giorni. Da quando Daniel Ortega è tornato alla presidenza del Nicaragua nel 2007, nessuna delle sue misure e politiche socialiste aveva causato un disaccordo capace di risvegliare la società civile.

Cosa è successo? Lunedì scorso il leader ha annunciato una serie di riforme per l’Istituto di sicurezza sociale del Nicaragua (Inss), che ha cercato di aumentare la percentuale di contributo che i lavoratori danno all’istituzione, dal 6,25% passa al 7%. Tuttavia, la misura che più ha irritato è stata quella relativa ai pensionati, che ora dovevano contribuire al 5%. Una settimana dopo l’annuncio della riforma, il presidente Daniel Ortega ha però revocato la misura «per facilitare la discussione e il dialogo», come ha affermato attraverso la televisione nazionale. Ma invertire la riforma è ormai tardi per una società che è stata scossa e ferita.

«Se Daniel Ortega avesse abrogato le riforme mercoledì dopo la prima protesta, le proteste si sarebbero dissipate. Il problema è che già giovedì c’erano già dei morti, la polizia non voleva solo disperderli, stava sparando per infiammare i vestiti dei manifestanti. La polizia ha attaccato con grande forza, esistono immagini di brutali violenze, di omicidi, rapine, rapimenti . Ciò ha accese la fiamma dell’indignazione sociale», dice la giornalista Anagilmara Víchez che scrive per il quotidiano El Confidencial.

In meno di cinque giorni il bilancio delle vittime ha raggiunto il numero di 25. In aggiunta, 64 feriti e scomparsi, così come alcuni altri che sono stati inviati in prigione, senza essere sicuri di che crimine siano accusati.

Tra coloro che sono stati uccisi c’è il caso “iconico” del giornalista Ángel Gamoha, che è stato colpito a morte sabato sera mentre trasmetteva gli eventi via Facebook Live per il programma di notizie El Meridiano. Nel video si osserva come si stia avvicinando ad alcuni negozi per mostrare i danni che hanno sofferto a causa dei disordini, quando improvvisamente si sente uno sparo e il cellulare con cui viene trasmesso cade per terra. Una pallottola in testa l’ha ucciso. Víchez racconta come per la stampa sia difficile lavorare da quando Ortega è salito al potere.

Il governo ha il controllo di quasi tutti i media, in particolare le frequenze televisive, dove censura le informazioni che vengono trasmesse. Nell’ultima settimana un programma televisivo è stato chiuso, una stazione radio bruciata e decine di giornalisti sono stati intimiditi e aggrediti.

Ma l’indignazione non finisce qui. Il movimento che ha dato origine alle mobilitazioni era un piccolo gruppo di studenti dell’università gesuita in Nicaragua con che con lo slogan “Sos Inss” e “Sos Nicaragua” è riuscito a mobilitare tanta gente contro il governo. Con il passare dei giorni giovani studenti, famiglie e anche aziende si sono uniti alle manifestazioni. Sebbene l’appello sia sempre stato quello di protestare pacificamente, di fronte all’oppressione del governo quasi tutte le proteste si sono trasformate in scontri con la polizia e coi giovani sostenitori del Movimento Sandinista che sostiene il governo.

Il presidente Daniel Ortega ha descritto come «criminali» tutte le persone che sono uscite per protestare. Sabato nel suo messaggio ha detto che «la protesta è normale in Europa, anzi avviene sempre, la gente viene a protestare, ma non arrivano a distruggere, non escono armati per uccidere (…) non c’è nessuna fretta di saccheggiare imprese e centri commerciali. Tutto ciò invece l’abbiamo visto e abbiamo dovuto uscire e ripristinare l’ordine. Non possiamo permettere che il caos prevalga qui».

Le organizzazioni civili sottolineano l’importante ruolo che la Chiesa cattolica ha avuto in questi momenti cruciali. Il vescovo di Managua, mons. Silvio Báez, è stato un mediatore e ha chiesto ripetutamente la cessazione della repressione dei manifestanti. Ha qualificato i giovani studenti che escono per protestare come «la riserva morale del Nicaragua». I preti sono andati in prigione per chiedere il rilascio dei manifestanti che sono stati catturati senza giustificazione e hanno ospitato nelle chiese e nelle cattedrali i giovani che resistono agli attacchi. Domenica scorsa, papa Francesco ha anche espresso preoccupazione per la situazione in Nicaragua: «Esprimo la mia vicinanza nella preghiera per il Paese amato e mi unisco ai vescovi nel chiedere la fine di ogni violenza, al fine di evitare un inutile spargimento di sangue e le domande aperte siano risolte pacificamente e con un senso di responsabilità».

Le proteste tuttavia continuano. Le ultime hanno avuto luogo nel settore delle imprese, che ha concesso permessi a centinaia di dipendenti per smettere di lavorare e aderire alle proteste che ora non sono rivolte solo contro la riforma della sicurezza sociale, ma anche contro la repressione del governo: «Non erano criminali, erano studenti», è stato lo slogan più forte in quest‘ultima protesta. Le proteste si indirizzano contro il governo di Daniel Ortega che sta svolgendo il suo quarto mandato di cinque anni come presidente del Nicaragua. Quest’ultimo periodo finirà nel 2022 ed è accompagnato da sua moglie Rosario Murillo, eletta vicepresidentessa.

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