Oltre lo spettacolo

Colloquio con don Giuseppe Gambardella, in prima linea con gli operai assunti dalla nuova fabbrica Fiat e con quelli ancora in cassa integrazione  
Gli operai Fiat a Pomigliano
San Felice in Pincis è una parrocchia di frontiera a Pomigliano. Se ne è accorto anche il comico Paolo Rossi quando è andato a girare il documentario Rcl (“Ridotte capacità lavorative”) sulla città napoletana al centro dei risvolti della globalizzazione della produzione industriale dell’auto. Dopo l’intervista a don Giuseppe Gambardella il tono ironico dell’uomo di spettacolo milanese cambia: sta parlando con chi partecipa in prima persona delle vicende di una comunità in gran parte operaia falcidiata da anni di sospensione e di cassa integrazione. La scelta cristiana di don “Peppino”, così lo conoscono tutti, si fa palese quando la dignità del lavoro, la lotta contro l’usura e la corruzione si accompagnano ad un carattere gioioso e positivo che rimane la traccia più resistente che questa terra del Sud continua ad offrire nonostante le sofferenze.

 

Città Nuova lo ha intervistato lo scorso anno, lo abbiamo risentito all’indomani dell’inaugurazione della nuova fabbrica della Fiat a Pomigliano.

 

Come è stato visto l’evento nella città?

«Si è trattato qualcosa di esterno e poco partecipato se non dentro la fabbrica con i toni spettacolari che abbiamo potuto osservare tramite la televisione. Ho cercato di avvicinarmi ma lo schieramento della polizia e della sicurezza era enorme e tale da non lasciare passare che le persone autorizzate».

 

In effetti, ci si aspettava una qualche contestazione vistosa…

«Il presidio esterno organizzato dalla Fiom con la presenza dei Cobas ha visto una partecipazione molto ridotta. Circa 200 persone che non potevano far niente. È un senso diffuso di impotenza che si comprende quando da anni si vive sul filo della tensione. Non si può immaginare la fila delle persone che vengono a chiedere un aiuto per pagare le bollette, il mutuo, o anche solo per fare la spesa. L’aiuto familiare può durare poco quando si percepiscono ottocento euro al mese di cassa integrazione e si hanno persone a carico. Non vedo segni di reazione nel lungo termine. Ogni tanto qualcuno viene da me per dirmi che è stato a lavorare nella nuova fabbrica e io gioisco con lui perché conosco cosa vuol dire restare senza aspettativa di futuro».

 

Su cinquemila lavoratori sembra che ne siano stati assunti finora cinquecento per arrivare a mille con febbraio 2012. E per gli altri ?

 «Chi resta a casa in attesa della ripresa dell’attività piena è coperto dalla integrazione salariale per due anni, un periodo di attesa snervante e tale da far saltare molti equilibri su posizioni di diritto emerse durante i vari dibattiti tra i lavoratori. I rapporti di forza sono così evidenti che per molti non resta altro che sperare di essere richiamati a qualsiasi condizione pur di riacquistare una condizione di sopravvivenza. La spaccatura tra le sigle sindacali ha certamente indebolito ogni ragione comune e lo stato di tensione rimane molto elevato. Nella base, tuttavia, non è compresa e accettata dalla maggior parte degli operai l’esclusione della Fiom dalla fabbrica. Nella parrocchia ci sono persone che appartengono alla Cisl come alla Cgil e alle altre denominazioni. Si cerca di mantenere una trama di rispetto e di dialogo vero. Quello che è mancato finora. Si tratta, come sempre, di ricominciare anche davanti ad ogni sconfitta. Bisogna mantenersi vigili perché senza rappresentanza e senza possibilità di espressione rischiamo di dare spazio ad espressioni involutive. Bisognerebbe alzare lo sguardo e offrire motivi di una speranza condivisa. Di scelte che chiamino in causa una responsabilità collettiva e strategie di lungo termine».

 

E intanto ?

«Intanto si continua a vivere e a cercare di rispondere e condividere le esigenze di chi si sta accanto».

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