Oltre il conflitto

Sulla Fiat. Bene l’accordo, ma occorre continuare a cercare un nuovo patto industriale e sociale
Fiat - stabilimento

Il mondo sociale economico e industriale è veramente cambiato: è questo forse il messaggio centrale che proviene da Pomigliano e Mirafiori. Ci stiamo accorgendo che la cosiddetta globalizzazione ha veramente cambiato il mondo, con effetti molto concreti nella vita quotidiana delle nostre famiglie. In un mondo veramente e radicalmente cambiato, dove le imprese possono andare a produrre in più Paesi del mondo (mentre i lavoratori sono molto più legati al territorio), occorre ripensare veramente e radicalmente anche i rapporti sindacali e le relazioni industriali.

 

Gli attuali diritti e doveri dei lavoratori, che il sindacato giustamente vuole e deve proteggere, sono frutto di un periodo storico – quello successivo alla prima rivoluzione industriale, tra Otto e Novecento – caratterizzato da due elementi essenziali. Innanzitutto da una dura e ideologica opposizione capitale-lavoro, dove ciascuno vedeva l’altro prima come rivale, poi come un alleato per il bene comune (ed in un mondo con assenza di diritti era comprensibile). In secondo luogo, e come conseguenza, le relazioni industriale erano basate sul conflitto sindacale, dal quale sono uscite le grandi conquiste del mondo del lavoro. Questo conflitto però si basava su di una premessa essenziale: che ognuna delle due parti (capitale e lavoro) aveva un vitale bisogno dell’altro, il che significava che la corda non si doveva e poteva spezzare, anche nelle lotte aspre e dure.

 

Per capire l’attuale stagione nei rapporti sindacali e industriali occorre allora sapere che questo secondo elemento, quella premessa, è venuto meno: non è più vero che la grande impresa ha bisogno vitale di quei lavoratori particolari, poiché, a causa della globalizzazione, oggi la Fiat e le grandi multinazionali possono “tagliare la corda”, e spostarsi altrove, facendo saltare il banco (magari con incentivi europei, come nel caso della Serbia: anche questo è un segnale che va preso sul serio, l’Europa oggi guarda ai Paesi meno sviluppati come 40 anni fa l’Italia guardava al Sud con la cassa del mezzogiorno). Questo per dire che la lotta ad oltranza, oltre a non essere forse opportuna (occorre ricordare che i rapporti industriali sono prima cooperativi, poi, ad un secondo livello, conflittuali), oggi non è più uno strumento efficace. Ecco quindi che al sindacato è chiesta oggi una nuova stagione di creatività, di evoluzione, di innovazione, come nei grandi momenti fondativi e profetici della sua grande storia.

 

D’altra parte anche il capitale, i proprietari e i manager, debbono mettersi in gioco, in cerca veramente di un nuovo patto sociale. Non basta disegnare contratti con maggiori vincoli e controlli (assenteismo, scioperi …), poiché sappiamo, come detto in altre occasioni, che soprattutto l’impresa moderna, fatta di innovazioni e di capitale intellettuale e relazionale, ha bisogno del lavoratore-persona e non solo delle prestazioni dell’lavoratore-operaio, osservabili con telecamera e timbro del cartellino. I nuovi manager della grande impresa (e questo è evidente nel caso Fiat) tende ancora a vedere il mondo del lavoro come un vincolo, un problema, un costo, e meno come la grande risorsa per il successo della impresa stessa, e senza stima, riconoscimento e premi (30 euro al mese non sono un premio) il lavoratore-persona rischia di restare fuori dal cancello della fabbrica, dove entra solo il lavoratore-operaio: ma senza persone tutte intere oggi non si vive e cresce nel mercato globale, non bastano operai e macchine.

 

Occorre allora un nuovo patto sociale, senza fretta, nel dialogo, nella discussione anche pubblica e non solo nei tavoli (è stata poco pubblica la discussione del caso Fiat fino ad ora), poiché dietro Pomigliano e Mirafiori si nasconde il futuro dei rapporti economici, e quindi civili, del nostro Paese. Un dialogo vero che deve riguardare anche la natura del capitalismo, la destinazione dei profitti, gli enormi stipendi e bonus dei manager delle grandi imprese, amministrazioni pubbliche e banche (tema a me molto caro), se vogliamo che il dialogo sia serio e capace di mostrare prospettive di futuro, che oggi sembrano mancare in questa età di crisi. Un dialogo che in realtà avremmo dovuto iniziare molti anni fa, senza fretta, con la volontà da parte di tutto di ascoltare tutte le anime dei sindacati, capire le istanze di tutti e includerle, con un vero esercizio di democrazia deliberativa, che è ancora troppo assente dalla nostra vita economica e civile. Ben vengano allora le firme di questi giorni, purché le consideriamo come un punto di partenza, non approdo ma inizio di un lungo viaggio.

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