Olio usato. Primato ambientale italiano in Europa

Raggiungiamo la raccolta e il riciclo di oltre il 95% di questo rifiuto pericoloso, mentre l’europarlamento propone di raggiugere l’obiettivo dell’85% nel 2025.  Una pratica virtuosa che ha generato risparmi per 3 miliardi di euro

L’economia circolare in Italia è ancora un settore che arranca, nonostante qualche piccolo ma importante segnale positivo. In un settore dell’economia circolare infatti possiamo andare fieri, anche perché siamo leader nel vecchio continente. Stiamo parlando della raccolta e riciclo degli oli lubrificanti usati, un rifiuto pericoloso e dannoso per l’ambiente. Siamo addirittura migliori di Germania, Francia, Spagna e Regno Unito.

 

Dal 1984 a oggi, la rigenerazione degli oli lubrificanti usati ci ha consentito di risparmiare 3 miliardi di euro di importazioni petrolifere.  Tutti i motori a combustione interna – come ad esempio quelli di auto, moto, veicoli agricoli e mezzi navali – e i macchinari industriali, hanno bisogno di essere lubrificati per funzionare.

 

A questo scopo si utilizzano oli lubrificanti a base minerale o sintetica. Durante l’utilizzo, l’olio si consuma e subisce trasformazioni chimico-fisiche che lo rendono non più idoneo a continuare il servizio e per questo occorre sostituirlo regolarmente.

 

L’olio usato è un rifiuto pericoloso che, se smaltito in modo scorretto o impiegato in maniera impropria, può essere altamente inquinante. Se versato in terra, l’olio usato penetra nel terreno avvelenando la falda acquifera che fornisce l’acqua potabile e quella per l’irrigazione delle colture. Se disperso in acqua, galleggia formando una pellicola impermeabile che determina la morte, per mancanza di ossigeno, di tutto ciò che vive al di sotto di essa. Se bruciato impropriamente, l’olio usato immette nell’atmosfera sostanze inquinanti in grado di determinare intossicazioni e malattie.

Per tutti questi motivi è importantissimo recuperare gli oli usati e avviarli al riuso.

Nel Pacchetto sull’economia circolare approvato dall’Europarlamento lo scorso 14 marzo si prevede che, entro il 2025, la percentuale di oli usati avviati a rigenerazione debba raggiungere almeno l’85%.

Ma l’Italia ha già superato questa soglia da 8 anni raggiungendo quota 95%, mentre la Spagna è al 68%, la Francia al 60%, la Germania al 50%, il Regno Unito al 14%.

Queste percentuali, se convertite in dati tecnici – dati del Green Economy Report curato dalla Fondazione per lo sviluppo sostenibile – ci fanno notare che in 30 anni di recupero in Italia si è evitato il consumo di 6,4 milioni di tonnellate di materia prima vergine (pari a 120 volte il peso della Costa Concordia); l’emissione di 1,1 milioni di tonnellate di anidride carbonica (corrispondono a 350 mila auto che percorrono 20 mila chilometri); l’occupazione di 7.306 ettari di suolo, una superficie equivalente al parco della Maremma.

Dal 1984 a oggi quindi la rigenerazione (oltre il 25% dell’olio che permette ai motori e alle macchine utensili di funzionare è realizzato utilizzando una base rigenerata) ci ha consentito di risparmiare 3 miliardi di euro sulle importazioni di petrolio per la produzione di nuove basi lubrificanti. Un buon esempio per il resto dell’Europa

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