Obama ridisegna il futuro degli Usa

Nel tradizionale discorso di inizio d’anno, il presidente punta l’indice sui mali che dividono il Paese: rancore e sospetto. C’è l’orgoglio per la ripresa economica, la riforma di scuola e sanità, il dialogo con Cuba e Iran. Cita il papa a difesa dell’Islam, ma resta aperta la sfida al terrorismo
OBAMA MID TERM 2014

Parla al suo Paese Obama, parla agli americani sfiduciati dalla politica e da un sistema elettorale che non consente il ricambio, intimoriti dalle minacce dell’Isis e da un andamento economico che continua a depositare ricchezza nelle mani di pochi. Si presenta ad una nazione già in campagna elettorale, dove il populismo sembra strappare terreno alla ragionevolezza e alla storia che vuole gli Stati Uniti multietnici fin dalle origini, patria della varietà di stati e norme, ottimisti e non timorosi di fronte alle sfide del cambiamento.

 

Obama conosce le pieghe più intime del sentire del suo popolo e sa che va ridisegnato un nuovo orizzonte dove l'apprensione, la voglia di difendersi (con la conseguente proliferazione di armi) e la chiusura al nuovo più che una minaccia ventilata sono quotidianità vissuta, cavallo di battaglia dei suoi avversari. Sono questi retroscena a spiegare le punte di orgoglio, talvolta la sicurezza eccessiva, quasi sul filo dell’arroganza, che si colgono in tanti passaggi del discorso sullo Stato dell’Unione che ad inizio d’anno il presidente indirizza al Paese per tracciare bilanci e prospettive.

 

Quattro i punti chiave scelti per questo 2016: new economy, cambiamento climatico, lotta al terrorismo, sistema elettorale.


Il cambiamento è la chiave che attraversa le 11 pagine indirizzate agli americani: “cambiamento che sta rimodellando il modo in cui viviamo, il nostro modo di lavorare, il nostro pianeta, il nostro posto nel mondo”. E il cambiamento va affrontato non con il terrore, ma con la fiducia e l’ottimismo.
I risultati sono già misurabili nella crescita economica, dopo la recessione. In sei anni si sono aggiunti 900mila posti di lavoro, si è risollevato il settore automobilistico, sono cresciute le aziende private e la green economy sta scalzando con decisione un sistema produttivo basato sull’utilizzo prevalente di carbone e petrolio. Le ombre di questo processo sono quelle dei salari, ancora bassi rispetto all’entità dei lavori eseguiti, di una ricchezza concentrata nelle mani di pochi, dello spettro di un’economia legata più alla finanza di Wall Street che alle proprie comunità e infine le lobby delle tradizionali fonti energetiche che non gioiscono del taglio del 60% alle importazioni di petrolio e carbone. Obama ha ben chiari i nodi del sistema e non manca di dare una stoccata alla propaganda di destra, che lega alla presenza eccessiva di migranti, il mancato aumento dei salari.

 


“Gli Stati Uniti sono la nazione più potente della terra” chiamata ad intervenire in tutte le crisi internazionali, ma il suo ruolo non può essere quello di gendarme della terra. Obama insiste su un altro tipo di leadership, quella del dialogo, quella che ha riunito 200 paesi attorno al problema dei cambiamenti climatici, quella che ha sbloccato le relazioni con Iran e Cuba. La legge delle armi non può essere l’unica, anche se "per armare l’esercito si spende quanto il bilancio di otto stati insieme". La lotta al terrorismo è prioritaria, ma invita con forza a non sovrapporre l’Isis all’Islam “sono terroristi e assassini" e cita le parole del Papa per sottolineare che la risposta non può essere “imitare l'odio e la violenza di tiranni e assassini perché è il modo migliore per prenderne il posto."

 


Infine il delicato nodo  della politica interna. Obama è consapevole di lasciare un paese sempre più diviso, poco interessato alla partecipazione attiva perché "non sono più gli elettori a scegliere i politici, ma i politici i proprio elettori", in base ai finanziamenti illimitati per le campagne elettorali, che fanno sentire i cittadini inermi e incapaci di determinare le decisioni dei propri rappresentanti. E da qui l’abbandono delle urne, nonostante i tanti volontari entusiasti della propria appartenenza partitica. In questi passaggi i toni diventano forti. Il presidente insiste sulla necessità di collaborare, come aveva già ribadito qualche giorno prima a proposito della legge per il controllo sulle armi e promette di dedicare questi ultimi mesi alla riforma della giustizia penale, a programmi di sostegno per chi è vittima delle droghe e alla riforma del sistema elettorale.

 

 

Sa che il congresso, a maggioranza repubblicana, non è dalla sua parte e che il Paese sarà distratto dalla campagna elettorale, già accesissima, eppure fa ricorso ad uno dei padri fondatori del suo paese, Martin Luther King e quel suo metodo dove “la verità disarmata e l'amore incondizionato avranno l'ultima parola”. Obama si impegna, con il suo popolo, ad agire così in questi ultimi 11 mesi da presidente.

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