Obama e la reciprocità

Il discorso all'Onu dimostra come il presidente Usa abbia viaggiato e capito quanto poco gradimento gli statunitensi abbiano nel mondo. Un punto di partenza per risalire la china non solo dell'apprezzamento per le doti del suo popolo, ma anche per cooperare al bene comune internazionale.

Chiunque abbia viaggiato nel mondo e nei mondi, ed è anche il mio caso, non ha potuto non rendersi conto negli ultimi decenni della progressiva caduta del tasso di gradimento degli statunitensi nel mondo, in quasi tutto il mondo. Contrariamente a quanto avveniva negli anni di Kennedy, ma anche di Nixon, ci sono intere regioni del globo praticamente vietate ai viaggiatori Usa: penso al Medio Oriente, penso ad alcuni Paesi africani, a parte dell’Estremo Oriente, persino a taluni Paesi centro e sudamericani.


Lo sa anche Barack Obama, che ieri all’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha pronunciato un discorso che con ogni probabilità resterà nella storia per aver segnato una svolta nell’atteggiamento Usa verso il mondo e verso chi la pensa diversamente da sé. Ha tracciato un "programma" per la comunità internazionale che non lascia dubbi sulle sue ambizioni pacificatrici: «Propongo quattro pilastri fondamentali per il futuro che vogliamo costruire per i nostri figli: la non proliferazione e il disarmo; la promozione della pace e della sicurezza; la conservazione del nostro pianeta; e un’economia globale che dia più opportunità a tutte le persone». Se parole come "non proliferazione" e "sicurezza" paiono dettate dall’incertezza di tante situazioni complesse e conflittuali (leggi Afghanistan, Iran, Somalia…), tutte le altre parole contenute in questo programma planetario sono indirizzate alla costruzione di un futuro migliore. Per far questo, «è giunto il tempo di abbattere questi muri», e cioè «le vecchie consuetudini e i vecchi argomenti».


Da sottolineare in questo discorso è anche l’introduzione massiccia di un concetto, quello della reciprocità, certamente difficile da maneggiare ma altamente simbolico ed evocativo di una convivenza pacifica. «Dobbiamo entrare in una nuova era di impegno, basata su interessi reciproci e sul rispetto reciproco». O ancora: «Insieme dobbiamo costruire nuove coalizioni che colmino le vecchie divisioni, coalizioni di fedi e convinzioni diverse, tra Nord e Sud, tra Oriente e Occidente, tra neri, bianchi e "marroni" (meticci). E’ la morte dell’unilateralismo, del "gendarme del mondo", così come della guerra fredda che minaccia di ricrearsi a vent’anni dalla caduta del muro di Berlino.


Infine, va dato atto all’Onu di essere ancora il solo luogo al mondo dove tutti i governanti possono esprimersi e ascoltarsi (non poca impressione facevano Gheddafi e Ahmadinejad durante il discorso di Obama), e anche lavorare assieme per il bene comune. L’Onu non è ancora l’autorità mondiale che ci si aspetta, capace realmente di orientare i grandi cambiamenti che l’umanità si trova a dover affrontare in questo inizio di XXI secolo. Ma resta indispensabile, al di là di tutti i Gqualcosa – G6, G8, G16, G20… – che pretendono di risolvere i problemi dell’umanità. Certo, il meccanismo Onu va rianimato – la denuncia dello strapotere del Consiglio di sicurezza e dei Paesi che hanno il potere di veto è una denuncia che ha molto di vero -, ma l’Onu e tutti gli organismi connessi è ancora indispensabile. Il discorso di Obama ha ridato fiato alle Nazioni unite. "Unite", un programma, speriamo in un prossimo futuro una realtà.

 

(dal blog di Michele Zanzucchi)

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