I numeri del fumo in Italia

Il 31 maggio è stata la Giornata mondiale senza tabacco, un'occasione per tornare a riflettere sui danni che questa dipendenza crea alla salute propria e di chi vi è esposto

L’abitudine al fumo è ancora molto diffusa in Italia e sembra non accennare a diminuire. Secondo i dati dell’Istituto Superiore di Sanità 2019, i fumatori nel nostro Paese sono più di 11,6 milioni (il 22% della popolazione); l’11,1% è costituito da giovani (anche sportivi) tra i 14 e i 17 anni. Negli ultimi anni è diminuita la quota dei fumatori, ma è cresciuta quella delle fumatrici, soprattutto al Sud. Nella Giornata mondiale senza tabacco, promossa ogni anno il 31 maggio dall’Organizzazione mondiale della sanità, si torna a riflettere sull’abitudine al fumo e sui danni che può causare alla salute. L’edizione 2019 è, infatti, dedicata al tema “Tabacco e salute dei polmoni”. Respirare quantità di fumo, anche piccole, può costituire un grave danno alla salute. L’Oms riconosce l’abitudine al fumo come uno dei più gravi problemi di salute pubblica al mondo e dichiara che il consumo di tabacco rappresenta la seconda causa di morte e la principale causa di morte evitabile. Circa 6 milioni di persone perdono la vita ogni anno per i danni causati da tabagismo e, tra esse, oltre 600 mila sono non fumatori esposti al fumo passivo.

Nel corso degli anni, molte sono state le strategie per indurre le persone a diminuire il consumo di sigarette. È del 2003 la legge Sirchia, “Tutela della salute dei non fumatori”, che stabilisce le misure volte a eliminare l’esposizione al fumo passivo nei luoghi di lavoro e locali pubblici chiusi. La legge estende il divieto di fumo ai locali chiusi, pubblici e privati (studi professionali, uffici privati, bar, ristoranti…) stabilendo il principio che non fumare, nei locali chiusi, è la regola. Fumare, nei locali chiusi, è l’eccezione: si può fumare, infatti, solo in ambienti riservati ai fumatori, dotati di impianti per la ventilazione.

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Lo Stato è anche intervenuto attraverso la leva delle accise, alzando il costo del pacchetto di sigarette o degli altri prodotti del tabacco e attraverso l’offerta di assistenza a coloro che vogliono smettere di fumare, gestita dai Dipartimenti delle Dipendenze della Asl e dai Centri anti-fumo. Quest’ultima proposta, tuttavia, riesce a intercettare una media di soli 17 mila pazienti l’anno, con un tasso di efficacia, a un anno dal primo intervento, inferiore al 50%.

L’Eurispes, in una ricerca del 2018, ha evidenziato che solo il 9% dei fumatori italiani afferma di volere smettere “entro 6 mesi”, e il 17,6% “non in tempi brevi”. Tuttavia, rimane alto il dato relativo ai fumatori che dichiarano di non voler “assolutamente” smettere (18,3%), mentre il 26,6% afferma che “dovrebbe”, ma non “vuole” farlo. Il 28,5% afferma infine che “dovrebbe”, ma pensa di “non riuscire a smettere”.

Di fronte a questi risultati ci si domanda se l’obiettivo di smettere di fumare e le politiche di dissuasione, soprattutto verso i più giovani, siano le uniche strade percorribili oppure se debba essere preso in considerazione anche l’obiettivo della “riduzione del danno”. Da questo punto di vista alcuni Paesi sono più avanti dell’Italia nella valorizzazione dei nuovi strumenti presenti sul mercato: vaporizzatori (sigaretta elettronica) e device per il tabacco riscaldato (il contenuto in nicotina è simile a quello delle sigarette normali, ma il livello di sostanze tossiche legate alla combustione è minore). In Giappone, negli ultimi anni, la quota di mercato del tabacco riscaldato è salita fino al 25% del pre-esistente consumo di tabacco combusto; in Gran Bretagna la sigaretta elettronica è utilizzata da milioni di consumatori; anche gli Stati Uniti hanno adottato un processo di valutazione dei prodotti innovativi.

La ricerca dell’Eurispes ha segnalato che l’82,2% dei fumatori italiani vuole essere informato sui prodotti alternativi al fumo tradizionale, che possono essere meno dannosi per la salute. Il 61,7%, è disponibile a passare a questi nuovi prodotti, una volta verificata la loro minore nocività.

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