Non Terra dei fuochi, ma terra di lavoro

Luciano Morelli presidente di Confindustria Caserta analizza il ruolo degli industriali e delle istituzioni e individua le priorità per risolvere l’emergenza rifiuti: pubblicare le mappe dei luoghi inquinati, analizzare la tipologia di rischio, differenziare le modalità di inquinamento e infine bonificare
terra dei fuochi

Incontriamo Luciano Morelli a pochi metri dalla sua principale sede di lavoro dal novembre 2012, quando è stato eletto presidente di Confindustria Caserta. Attorno a noi ci sono gli strascichi dell’imponente manifestazione contro i rifiuti tossici, appena conclusa: giovani con striscioni di condanna, mamme che consolano bambini stanchi della camminata, alcuni uomini impegnati a discutere animatamente sulla salubrità del loro territorio e sulle responsabilità politiche e criminali per lo scempio di una terra fertilissima e ora devastata. Morelli è amministratore delegato della Eco-Bat spa, società metallurgica, leader in Italia nella produzione di piombo secondario, ottenuto principalmente dal riciclaggio delle batterie esauste. Conosce perfettamente le problematiche legate allo smaltimento di rifiuti pericolosi, fin da giovane, quando alla Montedison un suo dirigente seguiva di notte i camion che li avrebbero trasportati in discarica per verificare che tutto fosse svolto legalmente. «È stata la mia scuola», ci racconta.

Perché non è sceso in strada a fianco dei suoi concittadini?
«Come Confindustria non partecipiamo a manifestazioni di piazza. Anche se quella appena conclusa si schiera a favore dell’ambiente in realtà manifesta una grande sfiducia nelle istituzioni locali e nazionali».

Pur essendo organizzata dalla Chiesa e con il vescovo in prima fila?
«Sono consapevole che la Chiesa non è contro nessuno ed è sempre a favore del peccatore: la popolarità dei suoi preti, di questi raduni sono implicitamente indice di bassa considerazione delle istituzioni. Questa è una marcia contro il sindaco e anche contro Confindustria se non ha fatto il suo dovere».

Confindustria ha fatto il suo dovere?
«Stamattina mi sono incontrato con l’assessore regionale all’ambiente e abbiamo discusso di cose già note ai tempi di Bassolino. Abbiamo già espresso le nostre perplessità sulla gestione del ciclo dei rifiuti, sulla mancanza di decisionalità di istituzioni che devono fare ma non fanno per eccesso di democrazia partecipata. Ci sono piani di bonifica fermi da un anno e mezzo in consiglio regionale perché non si individuano le priorità».

Se oggi le affidassero un tavolo sull’emergenza rifiuti quali sarebbero le sue priorità?
«Viviamo in un territorio dove l’illegalità è diffusa. Abbiamo sversamenti abusivi legati all’illegalità di chi li produce: qui ci sono tante aziende che lavorano in nero e smaltiscono in nero.  Abbiamo poi un deficit culturale, abbiamo la microcriminalità di rom e slavi che rubano rame, quella degli italiani che fanno peggio: spesso pagano per dar fuoco ai rifiuti o lo fanno loro stessi e tornano il giorno dopo per recuperare il materiale ferroso rimasto intatto.  Ci sono mappe dell’agenzia regionale per l’ambiente della Campania che indicano con una serie di pallini dove ci sono sversamenti abusivi, dove ci sono abbandoni incontrollati di rifiuti, dove ci sono smaltimenti legati alla criminalità organizzata, dove ci sono discariche, fatte bene o meno bene e che possono costituire un rischio. Andrebbero anzitutto rese note per tranquillizzare la popolazione e delimitare le aree interessate e non lasciar fare agli scoop dei giornalisti».

La comunicazione è una priorità e poi?
«Una volta circoscritto il problema bisogna agire facendo delle analisi di rischio e distinguendo le varie tipologie di inquinamento. Sapere ad esempio se i rifiuti sono seppelliti ad un metro o più, se il terreno è poco permeabile o no, perché ad esempio in un terreno a composizione media i metalli pesanti per effetto delle piogge scendono di  20 centimetri all’anno e quindi a quale livello si interviene? Occorre mettere in sicurezza le terre compromesse e poi iniziare le azioni di bonifica che dreneranno molto denaro, penso anche intorno ad un miliardo di euro».

Torniamo alle mappe. Lei quindi sostiene che esistono da tempo?
«Esistono da tempo. Le dichiarazioni del pentito Schiavone non hanno aggiunto nulla di nuovo perché sapevamo già. I dati però non sono aggiornati e allora che si lavori per aggiornarli e renderli completi. Che si pubblicizzino questi risultati, che si mostri che nei palazzi non tutto è marcio e che si lavora. Ho detto all’assessore all’ambiente, di ridarci il piano rifiuti del 1997 perché se quel piano fosse stato attuato oggi non staremmo qui a parlare di emergenza».

Cosa non ha funzionato?
«Si fanno tanti consigli pletorici senza giungere a conclusioni attuative. Si cerca di andare sempre avanti, di produrre cose nuove, ma farlo senza far funzionare l’esistente è un atto irresponsabile. Ho visitato un’azienda a 100 km da Manchester, collegata alla città da stradine piccole e ben tenute. Nessuno si preoccupa se incrociando un camion bisogna accostare e lasciarlo passare. Noi al loro posto avremmo già creato una superstrada, noi ricorriamo le grandi opere trascurando la manutenzione ordinaria. E questo vale anche per i rifiuti. Quando la regione ha fatto una pianificazione ha esaurito il suo compito, poi tocca a province e comuni l’attuazione, ma questo non avviene perché bisogna fare scelte impopolari come quelle degli impianti».

Qui entra in gioco la democrazia partecipativa, su cui prima ha espresso delle perplessità…
«Io sono favorevole alla partecipazione: qui si fanno continue marce contro la camorra, contro le istituzioni che hanno mal operato nel settore ambientale, contro gli impianti di trattamento dei rifiuti, ma attenzione al rischio ideologico. Vanno considerati i dati tecnici: gli impianti ci vogliono e anche se a me piace pensare a rifiuti zero, so che tecnicamente non è possibile. Io sono favorevole ad un ciclo completo e integrato dei rifiuti che faccia leva sulle quattro “R” proposte dall’Europa: riduzione, riutilizzo, riciclo e recupero. Il recupero degli scarti ultimi di questo ciclo va fatto anche attraverso i termovalorizzatori che bruciando i residui producono energia. Gli impianti appartengo alla fase residuale del trattamento che presuppone le altre tre».

Inceneritori e rispetto dell’ambiente sembrano però realtà inconciliabili…
«Prendiamo l’inceneritore di Giugliano. Le balle che vi sono destinate vanno prima avviate ad un azione di riciclo e solo dopo si progetta un inceneritore dimensionato per quantitativi bassi o termovalorizzatori di altra natura e con altri presupposti tecnici: non serve uno così grande. Noi siamo favorevoli agli impianti ma senza le tre R precedenti, no. Anche l’inceneritore pensato per Napoli è troppo grande. Le nostre opinioni nascono dagli studi che facciamo e dai colleghi che lavorano nel settore. Studiando il Piano rifiuti della regione Campania ci siamo avvalsi della consulenza dell’Amra, un centro permanente di Analisi e monitoraggio del rischio ambientale, legato alle università della Campania. Solo dopo questi studi abbiamo dato consigli e indirizzi»

Lei parla di mappe, studi, interventi ma non sono sufficienti a risollevare un’immagine deturpata della regione…
«Questa è terra di lavoro non è solo terra dei fuochi. La grande distribuzione che annuncia di non utilizzare prodotti di origine campana lo fa per conservare un’immagine pulita e lo fa per populismo. L’industria agroalimentare sta ricevendo un danno immeritato. Abbiamo territori inquinati, ma sono l’uno per cento, il cinque per cento ma non è l’intera regione. Il problema è concentrato sull’asse viario Nola-Villaliterno, lì si sono fatte le peggiori nefandezze. Ora siamo in emergenza e su questo bisogna lavorare: mappare il territorio, interdire le aree inquinate e questo devono farlo i sindaci, segmentare il problema e capire di quale inquinamento si parla perché una cosa è l’abbandono incontrollato di sacchetti e rifiuti urbani, altro è l’incenerimento di pneumatici, altro ancora è l’inquinamento delle falde e l’interramento dei rifiuti. Fatto questo si agisce e si bonifica».

In quest’analisi non va dimenticato il ruolo della criminalità organizzata
«La criminalità in quest’area ha lavorato utilizzando discariche autorizzate per smaltire rifiuti non autorizzati e la criminalità stupida li ha pure interrati. Su questo punto non credo che dopo le indagini serrate della magistratura e i controlli del territorio si siano potuti commettere gli stessi illeciti degli anni ’90 e comunque anche su questo richiamo all’importanza delle mappe. Serve poi un intervento legislativo che definisca i reati ambientali perché la camorra ha scelto di occuparsi di rifiuti più che di droga perché il rischio penale era praticamente inesistente. Pensare che in tanti anni il Parlamento non ha provveduto a mettere in piedi una legge in questa direzione fa inorridire. Il malaffare va fermato ma la camorra non è la causa di tutto: non ama i clamori, agisce in silenzio. Gli incendi della terra dei fuochi sono più opera della microcriminalità e dell’illegalità diffusa, ma è vero che la camorra lo consente. Se non volesse basterebbe far fuori due o tre persone perché nel loro tribunale non ci sono i tre gradi di giudizio».

Qualcuno ha detto di aver visto camorristi pentiti ma non imprenditori pentiti, cosa risponderebbe?
«Questa è demagogia. Abbiamo aree inquinate dalla grande industria e sono aree limitate e di antica industrializzazione, come ad esempio l’Italsider ma negli anni ’70 non c’era la stessa conoscenza e sensibilità ambientale. Chi vive nell’illegalità perché produce in nero e smaltisce in nero non si chiama imprenditore».

Cosa la fa più soffrire in questo momento?
«Vedere che le istituzioni non sanno darsi delle priorità. Ordine e pulizia, salute e tutela delle persone e del territorio sono la chiave di tutto. Soffro perché all’estero c’è il senso della manutenzione di quello che si possiede, come patrimonio ambientale e artistico, noi non ce ne curiamo e ci preoccupiamo di creare brutture, invece che centri direzionali. E poi vorrei che un politico eletto ricordasse di non appartenete più ad un partito ma all’istituzione».

 

 

 

 

 

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