Non c’è solo la crisi della giunta Raggi

Le evidenti e forti difficoltà e i gravi errori della neo insediata giunta M5S vanno inseriti nel contesto assai degradato della capitale. Segnali di vita dalle periferie
Virginia Raggi e Paola Muraro

Roma non ha pace. Anche i più accaniti avversari del M5S non potevano immaginare che la giunta Raggi arrivasse a mostrare crepe così vistose prima ancora di cominciare il lavoro di governo affidatogli da una schiacciante maggioranza di elettori votanti. Il nuovo corso politico, iniziato con il grido che rivendicava “onestà” e trasparenza, resta colpito da una serie di vicende che restano da chiarire, come l’indagine avviata da tempo dalla magistrature nei confronti dell’assessore all’Ambiente Paola Muraro. Ma il rischio forte è quello di delegittimare, a livello nazionale, gli esponenti più in vista dei parlamentari pentastellati che hanno deciso di porsi a sostegno della giovane sindaco. La quale, davanti ai media di tutto il mondo, non ha nascosto la propria comprensibile emozione affacciandosi, neoeletta, dalla finestra del Campidoglio che dà sul Foro.

 

Troppo presto, viene da dire, sono emerse le lotte intestine nella scelta dei tecnici da mettere nei posti chiave della complessa macchina amministrativa. Il M5S si trova quindi davanti ad un bivio per la sua stessa esistenza: potrebbe perdere il consenso come neve al sole oppure maturare e imparare dagli errori commessi in una storia politica ancora molto giovane che sembra, a volte, non tener conto di una riflessione millenaria sulle insidie e le ambiguità del potere.

 

Non è il momento, tuttavia, di limitarsi ad analisi saccenti. Chi conosce anche in parte la gravità della situazione nella capitale non poteva immaginare di poter risolvere tutto con la delega al “nuovo” che avanza. Ci sono dossier che si possono aprire solo con una forte e capillare partecipazione democratica: il macigno del debito da 13 miliardi di euro che schiaccia il bilancio comunale, il fallimento tecnico delle aziende dei rifiuti e dei trasporti, la penetrazione delle mafie nel tessuto burocratico amministrativo, la costante pressione di lobby di interessi consolidati.

 

La pesante eredità delle giunte passate si può gestire solo con un mutamento culturale profondo e non accettando gli inviti al “realismo” come accettazione del compromesso. La vera questione oggi a Roma, prima e dopo le elezioni, resta l’esistenza o meno di una società civile forte che non si chiude in casa, non delega ma sa assumersi impegni e responsabilità a partire dai quartieri più periferici, laddove si perde e scolora l’incanto della Città eterna. Come fa, giusto per fare un esempio, ma ce ne sono in quantità, la rete di associazioni “Tor più bella” che rifiuta di accettare un destino di emarginazione a Tor Bella Monaca, nel municipio simbolo del disagio mostrato come destino ineluttabile.

 

Forse da qui, prima ancora che nelle stanze dove si decidono i nomi degli assessori, si può ripartire con uno sguardo attento al merito dei problemi della città e a come si muovono i poteri reali capaci di mobilitare capitali e opinione pubblica. Ad esempio, c’è da interrogarsi sul gruppo Caltagirone, che ha il controllo de Il Messaggero, che ha ceduto una quota della sua partecipazione in Acea, dove il comune di Roma possiede il 51 per cento del capitale, alla francese Suez, specializzata in gestione dei rifiuti e risorse idriche, consolidandosi nel capitale della società transalpina. Nel frattempo il gruppo Tosinvest, della famiglia Angelucci, molto e discutibilmente presente nel mondo della sanità privata e già proprietaria della testata Libero, ha preso il controllo de Il Tempo, l’altro diffuso quotidiano di Roma. Non solo Raggi, dunque. Roma necessita di uno sguardo attento e premuroso. 

    

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