Non arrendersi alla guerra

È un impegno per tutti la pace e non solo per coloro che sono sul posto. Riflessioni al termine di un viaggio in Israele e Palestina, a contatto con un popolo prigioniero due volte, mentre la sofferenza dilania famiglie e città
Bombardamenti nella striscia di Gaza

In  questi tre giorni a Gerusalemme e a Betlemme per due volte  ho sentito le sirene dell’allarme: una volta a casa del babbo di Mohammed, il ragazzo palestinese bruciato vivo dopo l’uccisione dei tre ragazzi ebrei sequestrati e uccisi. La seconda volta mi trovavo in albergo. Forse la gente di qua è abituata, ma non ho trovato isteria né panico. Gli amici palestinesi che mi ospitavano, sono corsi a vedere dove cadeva il missile (in realtà erano cinque) e poi sono tornati tranquillamente a parlare del loro figlio, con grande compostezza e dignità. In albergo si sono ritrovati tutti in una stanza come da regolamento, ma c’era da fare qualche scalino e per me era complicato.

Come sempre, in effetti, anche e soprattutto nelle tragedie si dimenticano i disabili. Non è un caso che i giornali di ieri abbiano dato la notizia di due ragazze di Gaza, disabili, che sono state uccise nella Striscia. Come è noto, gli israeliani danno cinque minuti alla gente di Gaza per scappare e poi  bombardano. È evidente che per un disabile non c’è il tempo né lo spazio per fuggire. Questo è solo un piccolo dettaglio, ma nella sua piccolezza rivela la barbarie di questa guerra.

Venerdì mattina ho avuto un incontro di quattro ore con la cooperazione italiana e con il centro Peres, per individuare vie umanitarie onde salvare la vita delle persone, dei bambini, dei feriti, degli amputati. È necessario  che innanzitutto si apra un corridoio umanitario, perchè i feriti di Gaza possano essere curati anche nella prima emergenza fuori di Gaza, che ormai ha i suoi ospedali al collasso di fronte a questa ennesima emergenza. Alcuni bambini feriti, grazie anche al lavoro nostro, sono potuti uscire da Gaza per essere curati. Sono solo due per ora. Si potrebbe dire nulla, in realtà un grandissimo risultato che va rafforzato dall’impegno della comunità internazionale.

Pare difficile ormai trovare le grandi soluzioni politiche se non siamo capaci di rispondere alla domanda umanitaria, su cui tutti o quasi convengono. Ecco il punto. Non ci accontentiamo di poco, anzi siamo convinti che se si salvano bambini e se si apre un corridoio umanitario alla fina si trovano anche le soluzioni politiche.

Ecco: partire dai più piccoli, dai bambini, determina anche una costruzione politica efficace e stabile. L’Italia ha una storia in questo senso e dovrebbe svolgere in questo campo una grande iniziativa, perché la gente palestinese riconosce al nostro Paese questo ruolo

La ministro Mogherini andrà nelle prossime ore in Medio Oriente, in Israele e Palestina: che giochi questa carta con coraggio e determinazione. La via umanitaria è capace di sconfiggere gli estremismi e di mettere ciascuno di fronte alle sue responsabilità. Ecco la vera leadership dell’Italia in Medio Oriente e in Europa, per definire una vera politica europea in Medio Oriente. Credo che la vera, grande politica sia questa, in quest’ora della Palestina, in quest’ora di Gaza.

Bisogna essere accanto ai piccoli che soffrono. Quando mi sono recato a Betlemme per incontrare cinquanta ragazzi palestinesi e quindici italiani riuniti per un campus di danza, ho capito che la via della compagnia, della condivisione della vicinanza è la pietra angolare per costruire una politica di pace.

Me lo ha confermato il sindaco di Betlemme, Vera Baboun, una donna forte e mite, il cui volto rivela la passione e la sofferenza del suo popolo. Questo campus, che potrebbe sembrare assurdo in tempo di guerra, anticipa in realtà le cose belle del futuro. I genitori di questi ragazzi toscani hanno capito che senza amicizia non si costruisce futuro e i genitori palestinesi di quei cinquanta ragazzi hanno capito che l’amicizia degli italiani non vive nella retorica, ma nella concretezza di un gesto e di un tempo da condividere insieme. Ieri abbiamo vissuto la gioia delle parole e della preghiera del papa. Mi diceva Vera Baboun: «Sabato il papa ci ha chiesto di pregare per lui, ma anche lui deve pregare per noi. Ecco ieri questo silenzio si è riempito di una parola forte e vigorosa del papa, una preghiera dai piccoli e per i piccoli, per sconfiggere l’odio e anticipare il perdono e la riconciliazione».

Molti dicono che Gaza è una prigione a cielo aperto. Io dico che è vero, ma che due sono i carcerieri: Hamas e il governo israeliano. Dunque quello della Striscia è un popolo prigioniero due volte.

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