Il nodo dei vaccini

Una esperienza che fa toccare con mano come il dibattito in corso sulle vaccinazioni ponga al centro della questione non una disputa astratta ma bambini concreti e le loro famiglie. È accaduto, infatti, che un bambino di otto anni del trevigiano, dopo aver sconfitto la leucemia non è potuto rinetrare in classe, nè ricevere i suoi amici a casa perché cinque compagni non sono vaccinati. Siamo nel day hospital del reparto di oncoematologia pediatrica di Padova

Un vassoio con dei pasticcini secchi, una candelina con un numero sei infilzata alla bell’e meglio su uno di questi biscotti, e intorno una ventina di persone che cantano: «Tanti auguri a te». Potrebbe sembrare una festa di compleanno qualsiasi: però Anna (nome di fantasia) per soffiare sulla candelina deve abbassare un attimo la mascherina che le copre la bocca, e alcune delle persone attorno a lei che battono le mani sono in camice bianco. Siamo nel day hospital del reparto di oncoematologia pediatrica di Padova, dove i bambini che hanno conosciuto la realtà delle malattie oncologiche – in gran parte leucemie, ma non solo – vengono regolarmente per controlli e terapie dopo le dimissioni. Un mondo in cui i bimbi non hanno i capelli, tutti girano con mascherine sul volto, e tutti si chiamano per nome – perché qui ci si conosce tutti.

«La festa con  i compagni di scuola è solo rimandata, non cancellata» precisa la mamma di Anna. Questi bambini infatti, per un periodo di tempo variabile da 6 mesi a un anno dopo la fine della chemioterapia, non frequentano la scuola perché – in quanto immunodepressi – potrebbero esporsi a malattie innocue per altri, ma molto pericolose per loro. Per i vaccini invece è necessario aspettare anche due anni prima di poter completare l’intero ciclo, rimanendo privi di difese contro queste patologie. Ed è qui che sta il nodo che tanto ha tenuto banco sui giornali in questi giorni, con diversi casi di genitori che hanno denunciato l’esclusione dei propri figli da scuola: o perché i presidi, nell’incertezza normativa attuale, hanno applicato rigidamente la legge non accettando i non vaccinati; o perché, come un ragazzino di 8 anni della provincia di Treviso, ci sono in classe bambini non vaccinati che potrebbero esporlo a malattie come il morbillo – potenzialmente fatali in queste condizioni. Il Veneto, peraltro, è una Regione in cui il dibattito è particolarmente vivo: il governatore Luca Zaia è infatti un sostenitore non dell’obbligo ma della “corretta informazione” dei genitori. Fatto sta che ad oggi, secondo i dati della Regione stessa, sono quasi 80 mila gli inadempienti nella fascia tra 0 e 16 anni: e sebbene si sia provvisoriamente individuata la soluzione di spostare di sezione (laddove possibile) i bimbi non vaccinati nel caso in cui ci siano degli immunodepressi, il nodo rimane sia dal punto di vista legislativo che umano.

Ed è proprio il tema vaccinazioni a tenere banco oggi nelle discussioni dei genitori. La mamma di Anna, che dovrebbe iniziare la prima elementare, spera di poterla mandare presto a scuola, ma ammette di essere preoccupata. «Non voglio mettere in dubbio la buona fede dei genitori dei suoi compagni – afferma –, ma con le autocertificazioni non mi sento tranquilla, data la situazione che vedo attorno a me». La signora ha infatti un figlio di tre anni, autistico: «Tutti mi chiedono se gli ho fatto i vaccini, se è diventato così per quello – riferisce – e io rispondo allibita che certamente glieli ho fatti, per proteggere lui e Anna. È nato così e va bene così, è così che doveva andare per lui, è così che doveva andare per Anna. Certo che è difficile, ma non mi metto certo a cercare capri espiatori». Una testimonial perfetta per una campagna pro vaccini, verrebbe da dire. La signora non ha ancora finito di parlare quando entra un’altra famiglia – padre, madre e un ragazzino. Subito vengono accolti con frasi del tipo «Accidenti, siete diventati famosi!». Capisco così che è proprio lui il bambino di cui tanto giornali parlano, che non puo rientrare a scuola a causa di alcuni compagni non vaccinati.

Il padre quasi fa un salto sulla sedia quando mi presento come giornalista. «Mi scusi, non ce l’ho con lei – si affretta a precisare – ma purtroppo ci siamo trovati a vivere una situazione inaspettata. Pensavo si sarebbe sollevato un caso a livello scolastico, al massimo provinciale: invece mi trovo a rispondere a telefonate di giornalisti di ogni dove, che nemmeno so come siano venuti in possesso del mio numero personale, e che non sempre riportano correttamente le mie parole». E purtroppo non è solo questo il problema: «Viviamo in un paese piccolo – racconta –, e quando la notizia è uscita sui giornali non è stato difficile per gli altri abitanti capire di chi si stesse parlando. Ho ricevuto anche telefonate molto astiose: persone che mi invitavano a tenere a casa mio figlio se non sta bene, a lasciar vivere gli altri; o che mi accusavano di cercare notorietà. Io non l’ho mai cercata la notorietà, voglio solo che mio figlio possa andare a scuola come è suo diritto. Né voglio imporre ai genitori di vaccinare i propri figli: ma allora, se fanno questa scelta, si assumano anche la responsabilità di garantire loro un’istruzione al di fuori della scuola pubblica, dove tutti i bambini devono essere protetti». Se proprio ce l’ha con qualcuno, il papà di Giorgio – lo chiameremo così – ce l’ha con alcuni esponenti della classe politica regionale: «In questi giorni sto ricevendo numerose chiamate di solidarietà: però mi dispiace constatare che molte volte provengono da parte di quegli stessi politici a cui mi ero rivolto, inascoltato, già qualche tempo fa. Purtroppo la loro solidarietà adesso mi serve a poco: non posso fare altro che tenere a casa mio figlio finché non si troverà una soluzione». Imponendo, peraltro, diversi sacrifici anche alla sorellina, che ha donato a Giorgio il midollo per il trapianto: niente amichette a casa, almeno per ora, nel timore che possano portare qualche malattia al ragazzino.

Gli ha subito eco un’altra mamma: «Anch’io ho ricevuto diversi inviti a tenere a casa mio figlio – riferisce –: ma queste persone sanno che cosa significa dire ad un bambino di dieci anni che non può vedere i suoi amici a scuola, andare a giocare a calcio, andare alle feste di compleanno? Anche passata la fase più critica, quando avrebbe potuto iniziare ad avere qualche contatto, ormai nemmeno lo invitavano più. E per un bambino di quell’età rimanere tagliati fuori dalla vita sociale è terribile». E l’obiezione secondo cui “questi bambini a contatto con gli altri, vaccinati o no, corrono comunque il rischio di ammalarsi”, non attacca: «Certo che lo corrono – rincara la dose un’altra mamma –: ma mi si permetta che le malattie per le quali ci si vaccina sono molto più pericolose di quelle che comunemente “girano” tra i bambini a scuola, contro le quali peraltro il sistema immunitario dei nostri figli già può in qualche modo far fronte quando i medici ci danno l’ok per riportarli in classe. Non me le si metta sullo stesso piano, per favore».

Intanto Anna ha ricevuto gli auguri da tutti, e il vassoio di biscotti è ormai vuoto. «I medici ci avevano chiesto se volessimo rimandare a domani il controllo e le terapie – racconta la mamma –: ma lei ha detto di no, che andava bene così, perché qui per lei è come a casa ormai». E perché i suoi amici sono qui, verrebbe da aggiungere.

 

 

 

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